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Ed ecco il concerto che non ti aspetti.
Steve Hackett è già passato da queste parti, non molto tempo fa, e ha deluso chi ne aveva perso le tracce, continuando a identificare la sua figura con il rock sinfonico dei Genesis, con i lunghi e complicati fraseggi solistici e con un tipo di musica che Steve non ha accantonato ( e ce ne siamo accorti al Priamar), ma che convive con il lato più classico, che attira solo un pubblico specifico.
Molti i “titubanti” nei giorni precedenti il concerto, inconsapevoli anche di ciò che lo scorso anno era accaduto a Genova, proprio a metà estate, quando Hackett e la sua band avevano proposto il loro "lato elettrico".
La serata infame, dal punto di vista meteorologico, ha preso una diversa piega quando, attorno alle 20.15, l’arcobaleno sopra alle nostre teste ha dato il segnale che aspettavamo, noi sempre (o quasi ) presenti.
La gente ha iniziato ad affluire, le magliette dei Genesis a spuntare e … persino qualche straniero si è fatto notare. All’entrata infatti trovo quattro francesi, e immagino siano da queste parti in vacanza. Li rivedo a fine concerto e non riesco a trattenermi (in preda anche ad una certa euforia da performance riuscita) e chiedo loro da dove siano partiti … “… ma da Nizza! Non è poi così lontano!”.
Ma vorrei partire dalla fine, dal bis, dallo scombussolamento che mi provoca un piano solitario a cui fanno seguito le seguenti parole:
The path is clear
Though no eyes can see
The course laid down long before.
Se dovessi scegliere cinque brani “capolavoro” del prog anni settanta, Firth Of Fifth sarebbe tra questi.
Ero a Torino nel gennaio del 1973 quando, sedicenne, vidi i Genesis con Peter Gabriel presentare l’intero “Selling England by the pound” , e risentire l’assolo di Steve Hackett, a distanza di 37 anni, mi ha emozionato. Ma tutto il pubblico ha gradito.
Il repertorio è un misto di brani di Steve e ripescaggi dal contenitore”Genesis" (Los Endos, Carpet Crawlers), con largo spazio al nuovo album “Out of the Tunnel’s Mouth”.
Il pubblico ha gradito … molto … molto.
A me è sembrato di partecipare ad un concerto antico, come non se ne fanno più, perché se da un lato il genere è qualcosa di molto preciso, da relegare all’area rock prog, dall’altro lato i brani nuovi rappresentano la voglia di dare continuità con idee genuine e fresche.
Le contaminazioni sono evidenti.
Oltre a riscoprire le atmosfere “Genesis”, c’è molto “YES” nei cori, e … chissà se qualcuno concorderà con me che Nick Beggs , al di là del look da interpretare, si muove sul palco come Chris Squire, Rickenbacker a parte!?
E poi quando parte “Mechanichal Bride”… non sembra che inizi “21 ST Century Schizoid Man” dei King Crimson?
Bene … un sunto di prog ben congeniato, tra classico e rock, anche molto duro a volte.
La line up, oltre al capo in testa, prevede Roger King alle tastiere, Gary O’Toole alla batteria e voce (davvero gradevole), Rob Townsend ai fiati, Nick Beggs al basso e Amanda Lehmann chitarra e vocals.
Ho cercato, come al solito, alcune particolarità da incollare solo e soltanto a questo concerto.
Nick Beggs ad esempio.
Il suo look da vichinga ha ingannato sino alla fine alcuni spettatori lontani dal palco che hanno continuato a gridargli “bravaaa”.
Il bravo Nick è bassista di lungo corso e non ho idea da dove nasca l’esigenza di esibire un look così particolare, ma non è elemento di grande interesse, almeno per me.
Mi ha invece interessato lo “Chapman Stick” da lui proposto, che non ricordo di aver mai visto dal vivo.
Si tratta di un basso e di una chitarra all'interno di un unico strumento, da suonarsi esclusivamente con la tecnica del "tapping". Praticamente si possono eseguire con la mano sinistra accordi o linee di basso e con la destra suonare sopra melodie con la più totale indipendenza, alla stregua di un pianoforte, ma avendo a disposizione le timbriche e le possibilità espressive di un basso e di una chitarra.
Davvero uno strumento ed una proposta piacevole.
Altra cosa che mi ha colpito è la tecnica del batterista e in particolare l’impugnatura della mano sinistra.
Esiste un impugnatura “timpanistica”, in cui le bacchette vengono utilizzate allo stesso modo, come prolungamento del proprio braccio. Altri batteristi usano l’impugnatura tradizionale, con la bacchetta sinistra( per i destri) che passa inclinata tra il pollice e l’indice.
Molti drummers di mia conoscenza sono partiti dall’impugnatura tradizionale per arrivare successivamente al “matched grip” , avendo la necessità di “picchiare” più forte sulle pelli.
Normalmente si utilizza una tecnica sola, ma Gary O’Toole, nel corso della sua performance le ha utilizzate entrambe, in casi in cui i ritmi richiedevano la stessa, importante, potenza.
Non ho idea del motivo di questo doppio uso e, non potendo chiederlo a Gary, aspetto fiducioso il commento di qualche drummers di professione.
Nel filmato a seguire Gary si esibisce in un assolo, con bacchette parallele.
Due ore entusiasmanti di concerto e Hackett sembra quasi incredulo davanti alle dimostrazioni evidenti di gradimento. Appare in piena forma, sia dal punto di vista fisico( ha comunque 60 anni) che musicale e sembra a me un miracolo il fatto che realizzi nuovi dischi, in un momento così particolare del businnes musicale.
Il giorno dopo racconto ad amici ciò che ho visto e loro..”ma come…non era in trio… acustico!”.
E se si riflettesse un po’ sul sistema di pubblicizzare gli eventi?
Per chi non ha potuto o voluto esserci, ecco un piccolo assaggio della proposta della Steve Hackett e la sua band.
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