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Amici dei corrieri tedeschi, questo non ve lo potete perdere, anche se tedesco non è. Trattasi di Steve Moore, classe 1975, da Pittsburgh ma attivo in quel di New York. Pensate che Moore ha iniziato in ambito prog con gli Zombi, praticamente un duo nato nel 2001 con A.E. Paterra. Poi si incontra con Daniel Sullivan dei Guapo e dà vita a Miracle: due cd all'attivo per un synthpop alla Depeche Mode. Non pago di esperienze alternative, Moore nel 2007 è bassista dei Titan (ritorno al prog) a Brooklyn. Ma la dimensione collettiva pare non sia il suo forte, così, in parallelo, si costruisce una serie di eteronimi, dietro ai quali si nasconde l'one-man-band. Lui e suoi synth sono l'anima di un generico Gianni Rossi, autore di colonne sonore in stile Moroder per alcune pellicole underground (Gutterball e Star Vehicle); nel 2012 come Lovelock si dedica alla dance music con Burning Feeling. Steve Moore, oggi, ha all'attivo – a suo nome – 4 CD: l'ultimo, Light Echoes, è anche il primo per la prestigiosa etichetta di Silver Spring. Pur in una prospettiva sonora attuale, la maggiore ispirazione di questo lavoro (come dei precedenti) risale alla passione di Moore per la musica elettronica di consumo europea. La scuola è quella dei Kosmische Musik teutonica (Tangerine Dream, Klaus Schulze, Edgar Froese, Cluster e i primi Kraftwerk) ma risultano ben presenti influenze da parte di altri compositori (Vangelis, Jean Michel Jarre, Brian Eno e Steve Roach), compresi quelli di area minimalista (il Glass di Einstein on the Beach e John Adams). Il tema di partenza, tipicamente space, risulta affascinante: il “light echo” (in italiano “eco luminosa”) è un fenomeno astronomico particolare, simile a quello che avviene in ambito acustico. Moore, quando decise di attribuire un titolo all'album, pensò proprio all'eruzione di un sistema stellare avvenuta 170 anni fa. Le sei composizioni sono state registrate in diretta tra 2010 e 2012, utilizzando un ampio banco di sintetizzatori analogici (ARP Solus, Dave Smith Tetra, 490 Korg Polisix, Sequential Circuits Pro-One, Prophet 600 e la tastiera vintage italiana Elka Rhapsody), corroborati da una discreta cabina di regia effettistica (Phaser e Spache Echo). L'idea dell'eco è suggerita prevalentemente dall'uso dei sequencer: ogni brano parte da una sequenza ripetuta per l'intera traccia con rare evoluzioni armoniche (Light Echoes II), irregolarità ritmiche del pattern (Protomorphosis), inserimenti atmosferici (Tyken's Rift) o di brandelli tematici (le note lunghe in Light Echoes I) e mutazioni quasi impercettibili, come da copione minimalista (ne coglierete numerose, se avrete la pazienza di ascoltare gli oltre 28 minuti di Ancient Shorelines). Si distacca da questo plot, Aldebran Exchange (un lento movimento – e movimento lento - di masse sonore in contrasto tra loro - grave e acuto - sullo sfondo di un vento cosmico) Light Echoes è un'opera per veri appassionati del genere: richiede attenzione, partecipazione intellettuale e curiosità. Molto più ricco di quanto suggerirebbe un ascolto superficiale, il disco offre anche l'occasione per capire lo stato di salute “tradizionale” dell'estetica elettronica, ormai giunta abbondantemente alle 40 candeline. L'ascolto in cuffia con occhi chiusi potrebbe produrre sorprendenti effetti itineranti. Have a good trip! © Riccardo Storti
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