Magazine Cinema
Dopo le mie scorse assenze in parte giustificate, torno con il conclave a festeggiare un regista dai promettenti esordi, spirito e incarnazione ormai del buonismo americano e dei filmoni americani.
Uno che, tanto per dire, era il mito vivente di Dawson Leery...
Proprio lui, esatto, Steven Spielberg!
Classe 1946, ci ha regalato perle intramontabili come Lo Squalo, E.T., Prova a prendermi, ma anche saggi storici un po' soporiferi come Lincoln e cavalli protagonisti (War Horse) che ancora ho paura di affrontare.
Per andare sul sicuro, e per darmi un po' di bontà d'animo in vista del Natale, il film prescelto per questo brindisi è The Terminal.
Unite due buonissimi come Steven Spielberg e Tom Hanks e avrete un film buonissimissimo ma non per questo malvagio, condito di un umorismo che sa intrattenere, anche se le dinamiche interne sono prevedibili e conducono allo scontato e telefonato lieto fine.
Quello che è innovativo qui è però il soggetto, con il povero Viktor appena sbarcato all'aeroporto John F. Kennedy di New York vittima di una burocrazia per la quale è una insolvibile anomalia.
A Krakozhia, suo immaginario paese d'origine, c'è stato infatti un colpo di stato che ha reso non valido il suo passaporto e quindi impraticabile il visto d'entrata negli Stati Uniti. Le autorità non sanno come e risolvere la sua questione, e decidono come soluzione cuscinetto di farlo rimanere nel territorio neutrale dell'aeroporto.
Inizia così una vita di adattamenti, con la costruzione di quella che a tutti gli effetti sarà la sua casa per un anno, in cui avrà modo di instaurare amicizie sincere, crearsi alleati speciali e pure di conoscere l'amore per la bella ma sempre in viaggio hostess Amelia.
In questo piccolo universo a sé sta tutta la bravura della caratterizzazione di Spielberg, che con semplici mosse punta ad emozionare il suo pubblico e a divertirlo, e a dargli una mano ci pensano lo spazzino indiano Gupta (l'indimenticabile Kumar Pallana, già affezionato di Wes Anderson), il giovane innamorato Enrique e la sua agente Torres, gli altri giocatori di carte della notte e i vari passeggeri di passaggio che Viktor incontra giorno dopo giorno.
Come ogni storia che si rispetti, ovviamente, c'è anche il nemico, interpretato da un temibile Stanley Tucci che mette il suo lavoro anteposto alla vita del singolo, cercando in tutti i modi di sbarazzarsi di Viktor. Solo grazie alla sua figura il film diventa il classico esempio di buonismo, con un finale fin troppo lieto che porta il nostro eroe supportato dalla sua nuova famiglia a compiere il grande passo, lasciando indietro un amore difficile per compiere un'azione altrettanto commovente.
Scopriamo così cosa Viktor è venuto a fare in America, un semplice gesto -avere l'ultimo autografo di un jazzista come chiestogli dal padre prima di morire- costatogli la reclusione forzata e l'adattamento, ma anche la possibilità di vivere un'avventura ai limiti dell'impossibile. In realtà, però, la vicenda ripresa da Spielberg è quella di un passeggero iraniano che dal 1988 al 2006 visse all'interno dell'aeroporto Charles de Gaulle di Parigi.
A conti fatti, la pellicola non è certo delle più memorabili all'interno dall'eterogenea filmografia di Steven, ma è anche indice del suo buonismo, che messo in coppia con Tom "candidatura all'Oscar" Hanks consegna un film godibile e leggero e nulla più.
Con questo che è quindi un blockbuster americano nella sua accezione più stretta e buona, confezionato a dovere per emozionare il suo pubblico, la mia celebrazione di SS finisce qui, e lascio la parola, come sempre, agli altri blog che partecipano alla festa:
Aloha los pescadores
Cinquecentofilminsieme
Cooking movies
Director's Cult
Il Bollalmanacco di cinema
Il Cinema Spiccio
Ho voglia di cinema
Le maratone di un bradipo cinefilo
Life functions terminated
Movies maniac
Non c'è paragone
Pensieri Cannibali
Recensioni ribelli
Scrivenny 2.0
The obsidian mirror
White russian
Il giorno degli zombi
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