Origine: Italia, UK
Anno: 2013
Durata: 88'
La trama (con parole mie): John May è un impiegato del Comune di Londra che da ventidue anni si occupa di dare un nome, un volto ed una storia alle persone morte sole, fornendo loro esequie ed una sepoltura come se si trattasse di suoi congiunti.E' un solitario, estremamente meticoloso, legato profondamente alle vite di cui si occupa: quando viene chiamato per intervenire sul caso di William "Bill" Stokes, morto da settimane e segnalato soltanto a causa dell'odore avvertito dai vicini di casa del defunto, John si mette alla ricerca di parenti ed amici parte della vita dell'uomo e disposti a presenziare al suo funerale.Quando viene licenziato a causa di una riduzione del personale, John porta avanti privatamente quello che è stato il suo ultimo incarico ufficiale: la scoperta del passato e della vita di Bill cambieranno di fatto la sua esistenza.
Ho sempre trovato profondamente riduttivo il termine "natura morta", nella sua resa italiana.Still life, così come è proposto nei paesi anglofoni, suona decisamente meglio.Personalmente, mi da l'idea di qualcosa di attaccato alla vita, come se un'affezione come quella che io stesso provo per il viaggio che ognuno di noi percorre da queste parti fosse così evidente da vincere perfino la morte, inevitabile conclusione che, purtroppo, prima o poi verrà a ricordarci che non possiamo pensare di rimanere in giro in eterno.Quando penso alla morte, i due istanti che maggiormente hanno segnato la mia vita finora sono il momento in cui visitai mio nonno nell'obitorio dell'ospedale, il giorno prima del funerale, e la visione del monitor dell'ecografo che non mostrava il battito di quella che sarebbe stata Agnese, il ventotto maggio scorso.Due esperienze diverse, passate sulla mia pelle ad età ed in fasi così distanti tra loro nel tempo e nella loro dimensione da risultare quasi estraneee l'una all'altra, eppure accomunate dalla sensazione terribile di assenza: solo in quella minuscola stanza con la persona che più di ogni altra aveva influenzato la mia crescita o accanto a quella che più ha contribuito al mio diventare adulto osservando speranzosi che potesse non essere vero quello che stavamo osservando, la sensazione provata è stata senza dubbio quella di qualcosa che non c'era, che non aveva più una sua presenza nel mondo.Eppure capisco molto bene l'approccio di John May, protagonista cui presta perfettamente volto il caratterista Eddie Marsan in questo splendido Still life - evidentemente un titolo che porta più che bene, considerato l'omonimo film cinese di qualche anno fa, anch'esso memorabile -: le tracce lasciate dalle persone nel corso della loro vita definiscono la presenza delle stesse anche dopo la morte, divenendo, di fatto, la testimonianza effettiva di una sorta di aldilà vissuto proprio qui, invece che in qualche paradiso ad uso e consumo di una qualche divinità."L'immortalità sta nel ricordo di chi ci ha amati", si diceva dalle parti dell'Antica Grecia, ed in una certa misura penso che possa essere proprio così."Live together, die alone", venne recuperato in Lost, ed anche in questo caso non siamo troppo lontani dalla realtà.In fondo, non esiste esperienza che possa toccare ognuno di noi, se non la morte: anche i più semplici gesti quotidiani, a volte, vengono negati dal Destino, dalla Natura o da mille altri fattori, ma nulla, dal momento in cui veniamo concepiti, può risparmiare il confronto con la nostra stessa fine.John May lo sa bene, e da buon, meticoloso cercatore si dedica alla caccia di ogni segno lasciato da chi se ne va, soprattutto quando quello stesso qualcuno è morto così lontano da tutti da far sentire la propria mancanza soltanto al gatto - emblematico l'episodio della vecchia signora e delle lettere della "figlia" -: il suo viaggio alla scoperta di William Stoke, narrato con semplicità disarmante da Uberto Pasolini, nipote di Luchino Visconti e cervello in fuga dal Cinema italiano, tanto da scomodare paragoni con l'asciuttezza del Clint dei tempi migliori, o del Ken Loach più straziante, è una delle sorprese più incredibili del duemilaquattordici del Saloon, dalla forza emotiva dirompente almeno quanto quella di due dei titoli più in grado di toccarmi degli ultimi anni, Alabama Monroe e Departures.Dove porta la strada di John? Dove finiscono le sue aspettative, la dedizione messa nella ricerca legata alla vita di uno sconosciuto divenuto, di fatto, un amico?E dove stiamo andando, tutti noi?La vita con tutti i suoi ricordi, i momenti migliori e peggiori, i sogni, dove finisce nel momento in cui la morte arriva a riscuotere il suo credito?Non mi è dato sapere - e non mi sarà dato - cosa accadrà quando anch'io me ne sarò andato, o se qualcuno e chi si occuperà di quello che resterà di me una volta che lo spettacolo sarà finito.Eppure l'impressione che ho è proprio quella del titolo di questo film, che l'interpretazione italiana ha reso così lugubre e macabra: still life.Niente nature morte.Ancora vita.Quella che portiamo con noi, e quella che lasciamo al nostro passaggio.Anche se quel giorno ho toccato il viso di mio nonno, e l'ho sentito come un freddo oggetto inanimato, l'amore che ho per il West e i suoi racconti della Seconda Guerra Mondiale vissuti sulla pelle li porto con me.E anche se non avrò mai la possibilità di toccare il viso di Agnese, e dirle che andrà tutto bene, perchè ci sono io, so che posso farlo ogni giorno con Alessandro Leone, e così sarà, fino a quando la signora morte dovrà venire a strapparmi da qui con tutte le sue forze.Perchè io sono ancora vivo.E lo sarò anche quando avrò fatto sudare alla suddetta quanto più possibile per avermi.Still life.Ancora vivo.Neanche fossi Bruce Willis nel remake di Kurosawa.Grazie anche a film meravigliosi come questo.
MrFord
"My soul is painted like the wings of butterflies,
fairy tales of yesterday, will grow but never die,
I can fly, my friends!
the show must go on! Yeah!"The Queen - "The show must go on" -