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Irlanda, colore, 86 minuti Regia: Conor McMahon Sceneggiatura: Conor McMahon, David O'Brien Un film come Dead Meat pareva essere un buon punto di partenza per assestarsi nel cinema di genere, si parla in fondo di un prodotto estremamente economico, una horror comedy con zombie uscita prima che il fenomeno scoppiasse paralizzando un sottogenere potenzialmente brillante, un filmetto insomma divertente, innocuo, quasi tenero, che aveva anche avuto la sua discreta distribuzione, mostrandosi come una sorta di Bad Taste irlandese, senza tuttavia concedere al buon Conor McMahon un minimo di solidità economica/realizzativa per proseguire la sua carriera. A distanza di otto anni, dopo un secondo film e una serie tv sconosciuti e che nessuno sembra aver visto, lo ritroviamo infatti a scrivere e dirigere uno splatterone di serie b fatto con pochi, pochi mezzi ma in compenso con una vagonata di passione.
E dire che lo spunto è sinceramente dei peggiori – mai sopportate infatti le storie di clown, se si esclude giocoforza quell’IT che ha segnato generazioni e generazioni di fanciulli, di conseguenza gran poco interesse nell’avvicinarsi a un film che parla di un pagliaccio morto per sbaglio che torna nel mondo dei vivi per vendicarsi dei suoi involontari killer. Siamo dalle parti, boh, del becero più scrauso e terribile, e invece, miracolo, McMahon sa cosa e come scrivere per tenere in piedi una storiella demente che sulla carta nulla potrebbe mai dimostrare. Poche idee, quindi, ma tanto divertimento che viene trasmesso con naturalezza allo spettatore, nella stesura di un copione che si rivela simpaticamente buffo e ben gestito, con una manciata di personaggi odiosamente teen ma inaspettatamente spogliate dei loro cliché più ovvi e infantili per una caratterizzazione bene o male sempre felice. L’amico sfigato, i due fidanzati teppisti e soprattutto il grassone effeminato funzionano con semplicità, fornendo discreti trampolini per ironia, anche nera, spesso davvero azzeccata. Ma la parte da leone spetta naturalmente al pagliaccio Stitches, interpretato da un vero comico clown, l’inglese Ross Noble, alla sua prima esperienza con il cinema horror.
L’estrema ma burlona violenza delle sue azioni rappresenta infatti il vero fulcro della pellicola, il gore gommoso e ridicolo piace perché esasperato e pieno d’inventiva, e tra intestini strappati per farne delle figure animalesche e crani scoperchiati per estrarne il cervello con un cucchiaio da gelato, si ride con simpatico disgusto di fronte alla vendetta di un personaggio reso benissimo, banale nelle intenzioni ma di grande, grande efficacia grazie alla bravura dell’attore che lo impersona, spumeggiante, seriosamente comico, stravagante, capace di dare ironico spessore anche alle esasperazioni più stupide e inutili, che sarebbero state mal digerite con una diversa impostazione a monte.
Sicuramente un film troppo lungo per quello che offre, degli 86 minuti si potevano togliere qualche dialogo e qualche rallentamento iniziale, ma in compenso rimane l’aroma sporco e sulfureo di una sequenza eccellente e molto riuscita come quella del rito clownesco per resuscitare il pagliaccio defunto, una serie di immagini e deformità magari non originali ma, per un film del genere, di notevole effetto.
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