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Stone Town: l’altra faccia di Zanzibar

Creato il 06 novembre 2015 da Marika L

Zanzibar era una di quelle mete che mi incuriosivano ma non più di tanto e di certo non avrebbe avuto il primato nella lista dei posti da raggiungere il prima possibile. Eppure sono tornata a casa con il cuore pieno di emozioni contrastanti: da un lato i punti interrogativi che l'Africa inevitabilmente ti lascia sempre e dall'altro la gioia di aver esplorato anche un lato di questo Paese lontano dal mondo ovattato dei resort.
Più cruento, più duro, più vero.

L'escursione a Stone Town si è rivelata assolutamente indispensabile per entrare in contatto con la cultura locale e dovrebbe essere obbligatoria per tutti coloro che mettono piede in Tanzania. Della serie che quando arrivi al controllo immigrazione dopo aver controllato il passaporto dovrebbero mandarti subito a perderti per un po' tra i suoi vicoli.

Se mi chiedessero di descrivere Stone Town in un'unica parola non avrei alcun dubbio sulla scelta: graffiante.
E' la parte antica della capitale di Zanzibar
e consiste in un labirinto di stradine incasinate che si incontrano e scontrano e un pò ti confondono. Daud, la nostra guida, camminava a piedi nudi sotto la pioggia battente, calpestando pozzanghere infami che noi scansavamo saltando da un lato all'altro. Invece lui no, immergeva i suoi piedi nell'acqua come se fosse la cosa più normale e igienica del mondo. Ecco, penso che questo ricordo resterà sempre nella mia mente come il riassunto più esaustivo di quella giornata.

Daud ci ha mostrato i tesori di questa cittadina patrimonio Unesco che di cose da raccontare ne ha davvero tante e mi piacerebbe che tutti i visitatori riuscissero a trovare un pochino di tempo per ascoltare le sue storie. Quella che sembra una normalissima chiesa anglicana -pure parecchio bruttina secondo me- un tempo era il luogo nel quale avveniva l'asta degli schiavi. Uomini stremati fino all'osso venivano rinchiusi giorni e giorni nelle celle senza cibo e acqua, perché la resistenza ne dettava il prezzo e quindi quasi come fosse un normalissimo test, la loro sofferenza si diffondeva tra i muri di quella che ancora oggi è una ferita aperta.

Zanzibar è un patchwork di culture diverse che l'hanno rigirata come uno yo-yo dandole un affascinante carattere multietnico: arabi, portoghesi, inglesi. L'influenza della storia si avverte ad ogni angolo e in ogni palazzo ma si osserva soprattutto nelle porte antiche, che la rendono quasi un quadro nel quale i soggetti fanno a cazzotti.

Se tornassi indietro, non mi limiterei a fare un'escursione a Stone Town, ma cercherei di fermarmi almeno per una notte.
Mentre passeggiavamo, Daud ci ha mostrato una piazza apparentemente anonima che lui ha chiamato parco e che ha descritto come il fulcro della vita notturna della città. Ogni sera i pescatori locali allestiscono una serie di bancarelle nelle quali cucinano il bottino del giorno, offrendo ai turisti e agli abitanti del posto un'occasione per riunirsi e per assaggiare lo street food tipico.

La cosa che forse rimane più impressa è però il mercato antico, uno spezzone di vita quotidiana nonché tassello fondamentale di quel puzzle estroso e complicato chiamato Zanzibar.
Tale mercato è talmente sporco e sconclusionato da sembrare quasi finto: come è possibile che le persone facciano ancora la spesa in condizioni così critiche?
Poi però ho riflettuto su una cosa ben peggiore: a Zanzibar solo i fortunati fanno la spesa.

Una foto pubblicata da Gate309.com Travel Blog ✈️ (@marikalaurelli) in data:


Si divide in tre macroaree -dai, chiamiamole così- ovvero carne, pesce e verdure.
Le verdure, appunto, vengono sparpagliate un po' ovunque e non è raro vedere signore testare con mano il livello di maturazione di quelle poggiate sul pavimento lercio. La carne dondola attaccata ai ganci spargendo sangue su banconi che vengono senza problemi toccati da tutti i passanti. Il pesce forse è ancora peggio: mucchietti di frutti di mare sui quali sorvolano intere generazioni di mosche poggiati nel migliore dei casi su fogli di giornale trovati qua e là, Immancabili, ovviamente, i piedi del venditore poggiati a pochi centimetri dal cibo.

Hakuna Matata, direbbero loro.
Noi magari pensiamoci un po' prima di fantasticare su uno spaghetto alle vongole.

Una cosa mi ha fatto sorridere molto: mentre passeggiavamo chiacchierando tranquillamente, Daud si è fermato davanti ad un portone apparentemente anonimo, ha indicato delle fotografie attaccate fuori e ha esclamato: "Qui è nato un cantante che ora è morto, ma non so se lo conoscete. Si chiamava Freddy Mercury ".


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