“Aveva il sospetto che, con dieci anni di ritardo, stesse scoprendo chi era; e la persona che vedeva era allo stesso tempo più simile e più diversa rispetto a quella che aveva immaginato. Sentiva che finalmente cominciava a essere un insegnante, ovvero un uomo che semplicemente dice quel che sa, traendo dalla sua professione una dignità che poco ha a che fare con la follia, o la debolezza, o l’inadeguatezza dei suoi comportamenti privati.”
Raramente ci si trova d’accordo con la critica quando periodicamente romanzi pressoché sconosciuti vengono acclamati come capolavori ma nel caso di “Stoner” (Fazi, 2012, con una splendida postfazione di Peter Cameron) la questione è differente. Quotidianamente giungono nuovi volumi negli scaffali delle librerie di tutto il mondo ma è un qualcosa di eccezionale quando un libro come “Stoner” viene riesumato e rivalutato per il reale valore che rappresenta.
Il 5 marzo 1994, due giorni dopo la morte di John Edward Williams, un necrologio sul New York Times cita i fatti più notevoli della sua vita e della sua carriera lavorativa e letteraria. È facilmente intuibile che all’interno dell’annuncio funebre il romanzo più discusso, tra i pochi da lui scritti, fosse “August”, vincitore del National Book Award mentre per “Stoner” le uniche parole furono “the tale of a professor of English at the University of Missouri”.
Ma “Stoner” non è solamente la storia di un professore di inglese all’Università del Missouri, è molto di più e non si comprende come solamente di recente sia stato rivalutato. Il romanzo venne pubblicato nel 1965 quando opere come “Il grande Gatsby” (1926) di Fitzgerald, “L’urlo e il furore” (1929) di Faulkner o “La strada” (1957) di Kerouac, per fare alcuni esempi, erano stati ormai letti e riletti e si trascinavano da anni il loro successo. Ma Williams, che non è certamente da considerare inferiore a questi, venne praticamente ignorato, certamente in modo ingiusto.
Il successo per il romanzo storico “Augustus” lo portò alla vincita di un’importante Premio ma nessuno fu capace di scorgere la tragica forza di “Stoner”, il racconto della vita di un uomo semplice con una vita complicata come quella di tutti coloro i quali si domandano quotidianamente quale sia il senso della propria esistenza.
William Stoner proviene da una famiglia contadina del Missouri ed è grazie al consiglio dell’ispettore della contea che si ritrova a studiare agraria all’Università di Columbia. Una volta dentro il mondo universitario si accorge che vi è molto di più dei soli studi di agraria così la sua ambizione e le parole del professore di letteratura inglese lo portano a cambiare tipologia di studi spostandoli verso la filosofia e la letteratura.
William decide infine di proseguire gli studi ottenendo una laurea specialistica intraprendendo la carriera di insegnante e lavorando contemporaneamente per il dottorato. Una vita interamente dedicata allo studio e all’Università ma William si costruisce anche una vita privata sposando Edith e avendo una figlia, Grace.
Vista così la trama non risulta nulla di speciale bensì a rendere così speciale la storia è il modo in cui è scritta, uno stile leggero foriero però di sentimenti grevi e profondi, una vicenda esistenziale che induce a miriadi di riflessioni sull’esistenza, sulla realtà, su ciò che quotidianamente affrontiamo con gioia e fatica.
In sole trecento pagine Williams narra con una rara intensità l’intera storia di un uomo, un uomo dai tratti inizialmente insignificanti che col tempo comprende, almeno in parte, i suoi errori, le sue scelte eque ma che fino all’ultimo respiro si domanda quale sia stato il senso della sua vita e il senso di una mediocrità troppe volte ostentata, seppur involontariamente.
E la stessa Edith rappresenta l’immagine di una donna particolare offuscata da una rigida educazione e dall’ignoranza di una società che temeva di svelare troppi dettagli ai troppi figli a costo di tenerli nell’incoscienza delle proprie azioni.
“Stoner” è anche un libro storico all’interno del quale si succedono le due grandi guerre mondiali, è l’osservazione dall’esterno degli orrori della guerra, è lo sfilare inerme dei giovani che presi da patriottismo partivano per combattere senza avere la piena consapevolezza del rischio di non tornare più indietro.
È una bellissima storia d’amore, amore per la conoscenza, per ogni aspetto della vita, per i libri, per l’amore stesso, è la storia di un’amicizia che dura una vita ed oltre, è la metafora del viaggio che tutti intraprendono dal momento della nascita in poi. In tutti noi vi è un po’ di William Stoner ed è impossibile non rimanere travolti dalla sua storia, non soffrire, non esultare e non amare con lui.
Un libro che non dovrebbe mancare nella libreria dei veri lettori e che si auspica possa avere una fama ancora maggiore di quella avuta fino ad ora, nonostante l’autore, sfortunatamente, non possa più goderne.
Written by Rebecca Mais