Recensione di Chiara Rea
«Chi sei tu, veramente? Un umile figlio della terra, come ti ripeti davanti allo specchio? Oh, no. Anche tu sei uno dei malati: sei il sognatore, il folle in un mondo ancora più folle di lui, il nostro Don Chisciotte del Midwest, che vaga sotto il cielo azzurro senza Sancho Panza. Sei abbastanza intelligente, di certo più del nostro comune amico. Ma in te c’è il segno dell’antica malattia. Tu credi che ci sia qualcosa qui, che va trovato. Nel mondo reale scopriresti subito la verità. Anche tu sei votato al fallimento. Ma anziché combattere il mondo, ti lasceresti masticare e sputare via, per ritrovarti in terra a chiederti cos’è andato storto. Perché ti aspetti sempre che il mondo sia qualcosa che non è, qualcosa che non vuole essere. Sei il maggiolino nel cotone, tu. Il verme nel gambo del fagiolo. La tignola nel grano. Non riusciresti ad affrontarli, a combatterli: perché sei troppo debole, e troppo forte insieme. E non hai un posto al mondo dove andare».
Chi è veramente William Stoner? Un uomo qualunque, uno di noi, un mediocre professore di letteratura la cui vita scorre senza grandi picchi dalla nascita alla morte, una persona «votata al fallimento» (come gli fa notare l’amico Dave Masters poco prima di morire ventenne combattendo nella Grande Guerra). Eppure Stoner crede che ci sia qualcosa – come facciamo forse tutti – anche se non si chiede mai veramente cosa. Ma probabilmente è proprio quel qualcosa che lo spinge ad abbandonare gli studi di agraria per laurearsi in letteratura e diventare insegnante: l’incontro con i libri è come una piccola rivelazione, l’unica nella vita piatta di Stoner, uno degli rari momenti (l’altro è la storia d’amore extra-coniugale con un’allieva) in cui il taciturno e remissivo docente permette che qualcosa del mondo esterno entri all’interno della sua esistenza. Stoner è come un insetto con una corazza dura, che piano piano, passetto dopo passetto, procede dritto per la sua strada: la sua corazza non viene scalfita dalle piccole e mediocri disavventure che incontra, qualche urto, qualche ammaccatura ma niente di serio. La sua vita non verrà sconvolta dalle due Grandi Guerre (a cui lui non parteciperà), né verrà segnata dalla Depressione (che non lo toccherà particolarmente), non verrà distrutta dal matrimonio disastroso con una donna irresoluta e anaffettiva, né dalla triste e misera parabola della sua unica figlia, né dalla perdita del suo unico amore (la studentessa), né dalla sua insignificante carriera che non subirà mai rilevanti miglioramenti.
Questa è la vita di William Stoner: un susseguirsi di avvenimenti mai troppo gioiosi né particolarmente drammatici. Ma questa storia priva di grandi drammi è in realtà molto drammatica perché va a toccare qualcosa dentro il lettore, va a scavare un buco nella sua coscienza; è difficile, mentre si seguono le avventure di Stoner (che appassionano pur non essendo appassionanti), non pensare che la sua parabola è anche la nostra: la nascita, una vita non particolarmente significativa, la morte. Ma è proprio in punto di morte (momento che John Williams rende in maniera magistralmente struggente e coinvolgente; forse il punto più alto di tutto il libro) che, ponendosi insistentemente la tragica domanda «Cosa ti aspettavi?», Stoner sembra trovare un senso, sembra riappacificarsi con la sua vita inutile, con la sua esistenza anodina e piatta. E, con lui, anche noi lettori ci chiediamo se il senso non stia proprio nella domanda in sé, in quel qualcosa che tutti crediamo ci sia; e forse, in fondo, nemmeno importa se ci sia davvero o meno.
Stoner è un romanzo magnifico e universale, scritto con un stile corposo ed evocativo, straziante e delicato; è un libro che commuove senza furberie, che emoziona con la sua onestà.
Nota sull’autore
William E. Stoner (1922-1994) nacque da una famiglia di contadini. Dopo aver combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, si sistemò a Denver dove trascorse tutta la sua vita e insegnò letteratura all’università. Oltre Stoner, scrisse altri tre romanzi: Nothing but the night (1948), Butcher’s Crossing (1960, di di cui Fazi ha già annunciato la pubblicazione) e Augustus (Castelvecchi, 2010), grazie al quale vinse National Book Award.
Per approfondire:
leggi la recensione di Paolo Giordano sul Corriere della Sera
leggi la recensione di Irene Bignardi sulla Repubblica
leggi la critica di Morris Dickstein sul New York Times
John E. Williams, Stoner
traduzione di Stefano Tummolini
Fazi, 2012
pp. 332, euro 17,50