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STORIA /1: Vent’anni dopo, back in USSR

Creato il 07 ottobre 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Susanne Scholl

traduzione di Lorenza La Spada

STORIA /1: Vent’anni dopo, back in USSR

Nel 1991, esattamente vent’anni fa, quella che era stata la seconda potenza mondiale per quasi cinquant’anni crollò, portando con sé tra le macerie un intero mondo e un sistema di equilibri politico e culturale. Una data simbolo è il 9 novembre 1989, quando le picconate inferte al muro che divideva Berlino squarciarono per la prima volta la cortina di ferro. Ma il modo in cui l’Unione Sovietica ebbe effettivamente fine fu drammatico e confuso, segnato da una serie di avvenimenti a catena. Ogni settimana ripercorreremo le tappe più importanti di quell’anno chiave attraverso le parole della giornalista e scrittrice Susanne Scholl* per le colonne delle Salzburger Nachrichten.

Vent’anni dopo. La fine di un gigantesco impero

da Salzburger Nachrichten

Il gennaio 1991 fu un mese difficile per il presidente dell’Unione Sovietica Gorbaciov. Boris Eltsin, il presidente del Congresso della Federazione russa più indocile e più amato dal popolo, irritava il primo cittadino dell’Unione Sovietica in ogni modo possibile. Eltsin ritardava di continuo l’adozione del bilancio sovietico e soprattutto si schierò dalla parte degli Stati baltici. E questi Stati baltici nel gennaio del 1991 erano per Gorbaciov la più grande spina nel fianco.

Volevano la separazione dall’Unione Sovietica, volevano l’indipendenza. Sollecitato dai vecchi dirigenti sovietici, Gorbaciov si lasciò trascinare in un modo di procedere disastroso. Proprio come era già accaduto con la Georgia e l’Azerbaigian, volle indurre le tre piccole repubbliche baltiche a fare marcia indietro con la forza.

A Vilnius, la capitale della repubblica baltica lituana, morirono quattordici persone per un’azione delle truppe sovietiche contro i dimostranti. L’indignazione per questo modo di procedere non si levò soltanto nei paesi baltici e nell’Occidente. Anche all’interno dell’Unione Sovietica ci fu una forte resistenza. Boris Eltsin prese pubblicamente posizione contro Gorbaciov. Il conflitto che durava ormai da anni tra i due uomini si inasprì. Eltsin condannò l’intervento militare nei paesi baltici e disse di voler costituire un’armata russa indipendente a difesa della democrazia nel paese.

Per Gorbaciov la critica di Eltsin fu un’aperta provocazione. Le posizioni divennero ancora più dure. Delle promesse di Gorbaciov, le famose parole d’ordine “glasnost” e “perestrojka”, trasparenza e distensione, ormai sembrava non rimanere più molto. La situazione diventava ogni giorno più confusa.

Il presidente dell’Unione Sovietica da un lato voleva le riforme, ma dall’altro non poteva perdere le vecchie abitudini sovietiche ed era circondato da persone che difendevano i più disparati interessi. C’erano quelli che si aspettavano delle vere riforme per un reale processo di modernizzazione, e altri che si preoccupavano per i loro tradizionali privilegi.

Nel frattempo, a causa del peggioramento della situazione economica, la popolazione nell’Unione Sovietica si trovava a combattere giorno per giorno per la propria sopravvivenza.

Nonostante questo però, Gorbaciov, con la promessa di una maggiore trasparenza, aveva innescato qualcosa. Quantomeno nelle grandi città, la gente non accettava più quello che accadeva tanto facilmente. A Mosca erano scese in piazza oltre trecentomila persone per protestare contro l’azione sanguinosa in Lituania. Chiedevano le dimissioni di Gorbaciov. E Eltsin lo accusò di voler conservare il potere dei burocrati di partito. Anche nei media più liberi, da quando Gorbaciov era salito al potere infuriava la lotta tra i riformatori e i custodi dello status quo.

Il giornale di partito “Pravda” accusava i riformatori e Eltsin di aver ordito un complotto contro il presidente Gorbaciov. In quel momento nessuno osava prevedere a che cosa avrebbe portato questa lotta di potere.

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