Storia Cadaverica d’Italia: Apologia del Corpo Morto

Creato il 08 ottobre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine

L’Italia è un paese assediato da conflitti socio-politici irrisolti. Il passato della storia recente preme alle spalle dell’attualità, senza quasi mai scalfirla. La memoria è corta corta, e dunque: nuntio vobis gaudium magnum! in certi casi; come il presente, Storia cadaverica d’Italia, volume a cura di Graziano Graziani che raccoglie tre testi del drammaturgo romano Daniele Timpano: Dux in scatola, Risorgimento pop e Aldo morto. L’accostamento delle tre opere, andate in scena per la prima volta rispettivamente nel 2006, 2009 e 2012, è perfetto per le consonanze drammaturgiche e politiche che suggerisce: Mussolini, Mazzini (e Garibaldi), Moro. Tre martiri, ma a modo loro. E a modo del loro bravo, bravissimo autore, soprattutto. Lessi qualcosa di Timpano per la prima volta nella raccolta Senza corpo. Voci dalla nuova scena italiana, curata da Debora Pietrobono e uscita per i tipi di minimum fax all’inizio del 2009. In quel caso si trattava di Ecce robot! Cronaca di un’invasione, dichiaratamente ispirato all’opera di Go Nagai. Monologo da finissimo guitto cresciuto negli anni Ottanta, vivace, frizzante, dal ritmo sostenuto. È stato dunque con gioia, che ho ritrovato, nei testi contenuti in Storia cadaverica d’Italia, lo stesso impeto da aedo post-apocalittico, la stessa leggerezza di presentazione, uguali capacità di accentuazione interna. Dux in scatola, sottotitolo: Autobiografia d’oltretomba di Mussolini Benito è commovente rievocazione della vicenda legata al trafugamento della salma del dittatore dopo la fucilazione e la “mostrazione” (e non usiamo questo termine a caso) in Piazzale Loreto. Il Duce, come da un Oltre non identificato, in prima persona, narra le peripezie del proprio corpo, vilipeso, compresso, sballottato. Mussolini è Timpano, Timpano è Mussolini; ma Timpano è anche Timpano stesso, rievocatore, storico dilettante ma non dilettantesco. Più inadeguate che mai, in questo contesto, furono dunque le accuse, neanche tanto velate, di apologia di fascismo, mosse all’autore. In un Paese dove la trasgressione, la deroga, sembrano essere nuove istituzioni, Timpano è interprete umile di un clima da fine impero.

Della nascita, di un “impero”, in qualche modo, parla invece Risorgimento pop, scritto con Marco Andreoli. Impero sì, ma sghembo, e in particolare storia di una figura estremamente complessa del Risorgimento italiano: Mazzini Giuseppe, nato nel 1805, morto nel 1872, fondatore di Giovine Italia e Giovine Europa, protagonista di un tentativo, non riuscito, di imbalsamazione da parte di tale Paolo Gorini. Di lui, Gorini, in Risorgimento pop leggiamo:

«Questo Gorini, tanto per intenderci, era uno che stipava pezzi di braccia e di gambe nel cassetto del comò; uno che sotto il letto teneva il corpo pietrificato di un bambino; [...] Nella sua casa-studio a Lodi [...] sono tuttora esposte le sue opere. Gli scolari lodigiani ce li portano in visita d’istruzione, da bambini. E lì possono ammirare una coppia di avambracci, e gambe, e teste [...] e un piede… e un cazzo. [...] No. Non è una parolaccia. È un cazzo. Le bambine di Lodi il primo pisellino che vedono è questo: un cazzo imbalsamato!».

Mazzini è diventato un fantoccio, seduto, accasciato per meglio dire, tra gli attori. È il grande assente, l’escluso. E se la morte è già esclusione per statuto, l’aver perso la corsa per un ipotetico titolo di Miglior Padre della Patria è ancora peggio. A completare il terzetto, Aldo morto; rievocazione dolorosa e graffiante, a-cronologica, del rapimento, e poi del “ritrovamento” del presidente della Democrazia Cristiana. Aldo Moro è morto, e una piccola, minuscola R4 scorrazza per il palcoscenico. E Timpano diventa Aldo MorTo. E, sul finale, ci viene raccontato, coi moduli della fantascienza e dell’utopia, che Aldo Moro fa morire Dio di spavento, viene rinchiuso in una fornace, ma non scuoce, salvo poi, come “il zappatore” che “riede alla sua parca mensa”, avviarsi per la Renault che lo ospiterà nel suo ultimo viaggio, il quale è stato ed è, dopo le immagini della morte di “Alfredino” Rampi, il più icastico segno patetico-mediatico del secolo andato.

La fotografia di apertura che ritrae il modellino di una Renault 4 è di Claudia Papini


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