Pubblicato da giuseppepanella su aprile 13, 2012
______________________________
di Giuseppe Panella*
.
Sangue del mio sangue, terzo episodio della saga dei fratelli Corsaro (dopo Ultimo appello del 2005 e L’enigma Barabba del 2006), coniuga polemica e rabbia nei confronti dei guasti commessi dalla casta politica di una Sicilia mafiosa e corrotta con una serie di variazioni sul tema dei rapporti tra fratelli nemici e l’”un contro l’altro armati” (ma che, alla fine, comunque, si riconcilieranno e torneranno felicemente a frequentarsi). I due fratelli Corsaro non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro. Roberto, avvocato rigoroso e innamorato della moglie che gli darà un secondo figlio nel corso della vicenda ma fortemente ipocondriaco e tendente a ricadere in abitudini noiose e poco stimolanti e Fabrizio, giornalista appassionato e incostante, con un folto carnet di conquiste femminili al suo attivo, sono in rotta e si frequentano il meno possibile (lo zio fa il suo dovere andando a trovare la nipotina Rebecca ma niente di più). In passato, i due fratelli erano stati assai più vicini di come sarebbe accaduto in seguito e avevano condiviso per molti anni la passione per gli stessi eroi e per gli stessi oggetti di culto (sarà, infatti, un film miticamente trash, Lo chiamavano Trinità di Enzo Barboni- E. B. Clucher con la coppia ormai leggendaria Terence Hill – Bud Spencer, a produrre l’effetto del necessario happy end che condurrà alla riconciliazione fraterna). Poi Nicasio Prestipino, capo dell’ufficio tecnico di Castelferro (ridente quanto immaginario paese sulle Madonie) viene assassinato. E qui comincia tutto:
«Era un geometra quarantenne, da qualche anno a capo dell’ufficio tecnico del Comune.Sposato, separato e padre di un bambino, viveva da solo in una villetta alla periferia del paese. Era stato trovato cadavere da un vicino che stava rientrando a casa intorno alle otto di sera. Gli avevano sparato da distanza ravvicinata almeno due colpi di pistola, uno dei quali gli aveva portato via mezza faccia. Pareva che non ci fossero testimoni. Il corpo si trovava all’interno del giardinetto della villa, al di qua del cancello di ingresso. Non era da escludere che Prestipino avesse aperto al killer. Tutto, all’infuori di quest’ultimo dettaglio, faceva pensare a un delitto di mafia » (p. 40).
Ma non sempre tutto è così lampante e semplice come appare. Ci sono ragioni che possono sfuggire anche agli occhi più attenti e più desiderosi di trovare (e vedere) la verità. In realtà, sia il giornalista Fabrizio che l’avvocato Roberto al quale verrà chiesto di assumere la difesa di Gerlando Fogazza (meglio noto come Clinton per le sue molteplici e notorie avventure extraconiugali) pensano fin dal principio a una storia di mafia. Prestipino si era opposto con vigore alla creazione di un resort turistico con tutta una gamma ampliata di sistemazioni e di luoghi di svago collegati ad una possibile, grande struttura alberghiera (di solito tutto l’insieme delle combinazioni offerte alla clientela nasceva in un luogo già noto per l’attrazione esercitata sui turisti ma in molti casi – come è quello di Castelferro – un luogo privo di appeal e di attrattività naturali viene privilegiato per i bassi costi che comporta e per la disponibilità dei proprietari dei terreni messi a disposizione). Fogazza spiegherà al suo avvocato difensore che con Prestipino c’erano state:
«”Alcune divergenze di vedute. Soprattutto una su una questione molto importante”. Lo osservai muto, aspettando il resto. Che finalmente arrivò. “La realizzazione di un resort. Un impianto turistico di lusso con un grande campo da golf. Ci sono alcuni investitori esteri che intendono costruirlo nel nostro territorio. Non sto qui a spiegarti che grande volano per la nostra economia potrebbe essere una struttura di questo tipo, perché lo capisci benissimo da te”. E certo, se lo capisci persino tu…”Mi sono molto impegnato in questa vicenda. Il paese ha grandi speranze, come immagini. Siamo in Sicilia, la disoccupazione è quella che è, un’occasione come questa non si può perdere”. “E Prestipino la pensava diversamente?”. “Ci sono state delle divergenze… Prestipino in questi mesi ha sollevato una serie di obiezioni di carattere tecnico. Si trattava di dettagli, credimi, cose di poco conto, superabilissime. Ma purtroppo su questa cosa la sua chiusura è stata totale. E questo ha rallentato il progetto. Bisognava approvare alcune delibere di variante al piano regolatore e non si è fatto più niente, per il parere contrario dell’ufficio tecnico. Gli investitori cominciano a spazientirsi e si rischia di far saltare tutto. Sarebbe una tragedia che il nostro paese non può permettersi” » (p. 53).
Quelle con Prestipino erano state tutt’altro che semplici divergenze su questioni tecniche – erano culminate in scenate plateali in cui il sindaco aveva minacciato il tecnico di rappresaglie sanguinose; inoltre per l’ora del delitto il sindaco incriminato non aveva un alibi degno di questo nome. La missione difensiva di Roberto Corsaro si annunciava, dunque, difficile e praticamente priva di prove e appoggi documentali a favore dell’innocenza dell’uomo. Non così, invece, era il compito che Fabrizio si era volutamente assunto. Giunto a Castelferro, la sua inchiesta si era giovata dell’incontro con una ragazza molto animosa, Maria Librizzi, con la quale all’inizio i rapporti erano stati molto tempestosi (la donna lo aveva accusato subito di essere un pennivendolo venduto alla stampa padronale dell’isola) ma che poco a poco si erano trasformati in simpatia e poi in una relazione affettiva seria. In una serata di pioggia in cui Fabrizio sente la nostalgia della donna e va a trovarla in macchina a Castelferro, la trova in piedi, vicino ad una macchina parcheggiata in una curva cieca, assorta a riflettere sulla vita e forse a pregare. Dopo uno scontro e una forte incomprensione iniziale, Maria gli racconta la storia dell’incidente terribile in cui i suoi genitori erano morti per colpa di una strada costruita nel posto meno adatto ma più lucroso per il proprietario dei terreni su cui sorgeva e che aveva da allora continuato a mietere altre vittime:
«”Dietro quegli alberi, la vedi quella vecchia casa? Eccola là, proprio davanti al tuo naso. Quando si costruì questa strada, il progetto prevedeva di passare da lì, per evitare una curva così pericolosa. Ma la casa e tutto quello che ci sta attorno appartenevano a un pezzo da novanta, un medico mafioso ammanigliato con la politica, che all’epoca comandava in tutta la zona […]. Per non arrecargli disturbo e non abbattere la sua bella casa di merda, la strada fu fatta così. Ora lo capisci quanto io odio Fogazza e tutti gli altri porci come lui che usano il potere solo per il loro tornaconto, imponendo soprusi e pisciando sopra i diritti della gente normale, come me? Lo capisci, signor Fabrizio Corsaro?”. Le presi la mano rimanendo in silenzio. Lei dopo qualche secondo si staccò da me e aprì lo sportello della mia auto, sedendosi dal lato del passeggero. Io la raggiunsi. Sul cruscotto c’erano le mie sigarette. Ne accese una, dopo avere aperto il finestrino. Feci lo stesso e per un pezzo restammo muti» (p. 96).
Proprio da quella notte e a partire da quel racconto smozzicato e gridato sull’orlo della curva di una strada insanguinata per colpa dell’ingordo profitto di sempre, Fabrizio, single incallito e apparentemente imprendibile dai lacciuoli del matrimonio, sentirà di amare quella donna per la vita.
Così la storia dell’omicidio di Casteferro si chiuderà con degli eventi felici e beneauguranti per i suoi protagonisti – Fabrizio stabilmente sistemato con una ragazza che lo fa sentire vivo e Roberto in attesa di un bambino nuovo, nato dopo tante incertezze e dopo tanti battibecchi con la moglie Monica, incerta fino alla fine se tenerlo o abortire. Sarà proprio l’episodio della tentazione dell’aborto da lei narrato a dare a Roberto lo spunto investigativo necessario a trovare il bandolo della matassa e a permettergli di scoprire la verità che avrebbe scagionato il suo assistito (questo snodo importante della narrazione di Toscano deve molto ad un’analoga situazione presente in Il soffio della valanga di Santo Piazzese, anch’esso un thriller palermitano del 2002 pubblicato da Sellerio). Dopo la rivelazione relativa all’aborto della moglie di Fogazza che, da sempre, aveva attribuito alla moglie la colpa della loro sterilità di coppia, la morte di Prestipino perderà i caratteri di un delitto attribuibile all’”onorata società” e si rivelerà, invece, un omicidio dovuto a motivi passionali e a un intrigo segreto di cui il Clinton di Colleferro sarebbe dovuta diventare la vittima. Come dice alla fine del romanzo proprio l’avvocato Roberto Corsaro:
«Sui giornali dell’indomani la mia performance aveva trovato grande spazio. La stampa aveva parlato di un clamoroso colpo di scena, delineando l’ipotesi che il geometra Prestipino fosse stato vittima di un piano diabolico messo in atto dalla coppia di amanti, alle spalle del sindaco, incastrato con false prove create ad arte per depistare le indagini. Ed era proprio così che le cose erano andate» (p. 197).
_____________________________
* Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaireDreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)