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Storia del Libro e dell’editoria. Qualche parola dopo il superamento dell’esame.

Creato il 01 giugno 2011 da Emanuelesecco
sottofondo: Dropkick Murphys – Cruel

tractatusdevita

A volte ci si iscrive ad un corso di laurea essendone attratti anche solo dal nome e dalla descrizione abbastanza striminzita. È proprio questa la base su cui tante persone fanno la propria scelta.
Inutile dire che, molte volte, il nome non riflette proprio quello che ci si aspettava. Qui vi invito a non contraddirmi in quanto i miei tre anni spesi a tentare di dare un senso alla mia iscrizione al corso di laurea di Informatica, per poi passare a Lingue e Culture per l’Editoria, rappresenta una qualifica più che valida.
Devo ammettere che anche il corso di laurea che frequento riserva delle sorprese, infatti molto spesso mi trovo a chiedermi come, molte delle cose che studio, centrino con quelle che erano le mie speranze; uno su tutti il corso di Geografia Economico Politica, un corso troppo improntato, secondo me, su concetti economici; materia che non sarebbe proprio il pane quotidiano di uno studente di Editoria (infatti non starò neanche a dirvi le ore di strino passate a leggere il libro del corso).
Sono da menzionare anche quei corsi che decidi di frequentare solo perché è obbligatorio, convinto/a che una volta finito l’esame la tua mente farà un format c: (cos’è ‘sto nerdismo latente?). Ehm… dicevo che la mente farà tabula rasa di tutte quelle nozioni per la quale memorizzazione hai buttato via minuti, ore e giorni che potevi tranquillamente passare leggendo un buon libro o facendo un giro in bici oppure, meglio ancora, sdraiato al sole a fumare, bere e goderti il “dolce far niente” (ricorda per caso un certo sabato di maggio? Il 14 magari…), rispettando in piena regola le leggi sacre dettateci dallo stereotipo dell’italiano cazzone e che tanto bene ci vengono illustrate nel film Mangia, Prega, Ama. Lasciando poi perdere il fatto che molti libri universitari sembrano essere scritti col culo, anche da un punto di vista di correzione bozze… riferimento casuale ad una certa dispensa sui distretti economici veneti e basata su un libro tutt’ora in commercio?

Intanto la lista degli insegnamenti si è ristretta parecchio, e finalmente si è giunti a quelle materie che ti colpiscono profondamente e che danno un senso alla tua iscrizione in quel corso di laurea. Devo ammettere che fino ad ora sono stati pochini, anche se mi sono lamentato poche volte a proposito degli insegnamenti propostici.
A riguardo, non posso esentarmi dal menzionare il corso di Storia del Libro e dell’Editoria. Nota bene: non lo faccio solo perché so che la professoressa leggerà questo articolo (non sono così paraculo, ormai l'esame l'ho fatto e anche passato).
Che dire del suddetto insegnamento: è stato uno dei pochissimi in cui l’andare a lezione non rappresentava un peso, anzi. Vi dirò di più: nel semestre appena terminato le ore di lezione per gli anglo-ispanisti, come me, erano 6 e tutte di fila. Ci credete che l’ultima ora e mezza, Storia del Libro appunto, era una sorta di rigenerante? Per come la vedo io, solo il fatto di inframezzare, a momenti di inculcamento semi-forzato di nozioni su nozioni, degli argomenti più leggeri è stato un qualcosa di moto positivo. Molti professori se ne sbattono se vedono lo studente stremato che a malapena riesce a tenere in mano la penna, ultima ancora che si oppone ad una rovinosa caduta a terra.

Veniamo però al sodo: perché mi è piaciuto il corso. E me lo chiedete anche?
Prima di tutto adoro l’oggetto libro, non posso fare altro che venerarlo e augurarmi che non si estingua mai, e, ovviamente, ogni volta che sento parlare di manoscritti, incunaboli, cinquecentine e via dicendo, non posso fare altro che sognare al solo pensiero.
E qui arriviamo alla seconda carta vincente del corso: la visita fatta alla Biblioteca Civica di Verona, durante la quale abbiamo potuto ammirare da vicino e letteralmente toccare con mano una copia dell’Hypnerotomachia Polifili (magari ve ne parlerò in un prossimo post) stampata da niente popò di meno che Aldo Manuzio (editore romano trasferitosi a Venezia, il quale simbolo potete trovare sulla colonna a destra del blog, Festina Lente). Per non parlare poi di vari codici in pergamena, bolle statali (sempre in pergamena), fogli di forma di libretti di preghiera in doppio inchiostro e fragili come non so che e altre produzioni e riproduzioni a stampa una più bella dell’altra.

hipnerotomachiapoliphili

Non riesco neanche a descrivere le emozioni provate mentre sfogliavo quelle pagine, testimoni di secoli, arrivate per miracolo fino a noi e desiderose solo di raccontarci la storia che portano appresso da così tanto tempo.

Un’altra cosa che ho apprezzato del corso è stata la scelta dei libri: qualche passo era pesante (vedi Libri per Tutti e Introduzione alla Storia del Libro), ma nel complesso si sono rivelati essere molto leggibili e chiari a proposito dei concetti spiegati. Menziono anche l’inserimento nella lista dei libri a scelta de Il Formaggio e i Vermi di Carlo Ginzburg, del quale parlo in un mio precedente post ma che approfondirò in un futuro non troppo lontano.
Che dire poi della parte principale del corso, la storia dei libri a larga diffusione e delle pratiche di lettura: semplicemente affascinante. È stato bellissimo scoprire come la storia che ti viene insegnata fino alle superiori, sulla storia della stampa in particolare, sia solo un granello di sabbia di quel vasto deserto che è la storia in tutte le sue sfaccettature. Libri di magia, romanzi di cavalleria, almanacchi, calendari… tutto un mondo di pubblicazioni che, spesso e volentieri, andava contro a quella che era la morale comune che la Chiesa, in maniera ancora più preponderante di quello che fa ancora oggi, voleva e pretendeva di inculcare a forza nelle menti di tutti (aristocrazia e popolo) con la volontà, non meno importante, di avere il pieno controllo sulla produzione editoriale del tempo.

Forse sono arrivato alla fine e forse no, perché devo anche spendere un paio di parole su Il Gioco della Lettura di Gerard Unger, libro che mi ha letteralmente aperto gli occhi verso quel mondo che è la tipografia. Infatti da quando l’ho letto sono sempre al lavoro per rendere sempre più leggibili i post del mio blog. Provando mano a mano nuovi caratteri, spaziature e molto altro (anche se mi sono reso conto che il Georgia, quello in uso ora, è uno dei più bei caratteri con grazie che abbia mai usato).

Bon, basta così.
Ho superato abbondantemente le 1000 parole quindi direi che è arrivato il momento di finire il post.
E come Lutero disse (parlando della stampa): «è il più alto ed estremo atto di grazia di Dio».
A presto cari miei, magari domani vi parlo un po’ di quel duomo che vedete sulla testata del blog.

 

E.

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