Magazine Cultura

Storia del nuovo cognome, frasi [Elena Ferrante]

Creato il 15 giugno 2015 da Frufru @frufru_90

Scarabocchi sul libro [clic]  >>>

Storia del nuovo cognome, frasi [Elena Ferrante]
Se si era già arresa, se aveva già digerito quell'affronto, il legame con Stefano doveva essere veramente forte. Lo amava, lo amava come le ragazze dei fotoromanzi. Per tutta la vita gli avrebbe sacrificato ogni sua qualità, e lui non si sarebbe nemmeno accorto del sacrificio, avrebbe avuto intorno la ricchezza di sentimento, di intelligenza, di fantasia che la caratterizzava senza sapere cosa farsene, l’avrebbe sciupata. Io, pensai, non sono capace di amare nessuno così, nemmeno Nino, so solo passare il tempo sui libri.
Anche Alfonso nascondeva in petto don Achille, suo padre, malgrado l’aria delicata? Possibile che i genitori non muoiano mai, che ogni figlio se li covi dentro inevitabilmente? Dunque da me davvero sarebbe sbucata mia madre, la sua andatura zoppa, come un destino?
Mi sentii sollevata. Lasciai a lei anche le sorelle di Linda e andai a sedermi al bar, in un posto da cui le potevo tenere d’occhio tutt'e quattro e intanto leggere un po’. Ecco come diventerà, pensai guardandola. Ciò che prima le sembrava insopportabile, ora già la rallegra. Forse dovrei dirle che le cose prive di senso sono quelle più belle. È una buona frase, le piacerà. Beata lei che ha già tutto quello che conta.
Una volta restò col tiretto aperto a fissare i soldi. Disse di pessimo umore: «Questi li guadagno io con la mia fatica e quella di Carmen. Ma tutto, qua dentro, non è mio, Lenù, è fatto coi soldi di Stefano. E i soldi Stefano li ha accumulati partendo dai soldi di suo padre. Senza quello che don Achille ha messo sotto il materasso facendo la borsa nera e lo strozzino, oggi non ci sarebbe questo e non ci sarebbe nemmeno il calzaturificio. Non solo. Stefano, Rino, mio padre non avrebbero venduto nemmeno una scarpa senza i soldi e le conoscenze della famiglia Solara, strozzini anche loro. È chiaro dentro che cosa mi sono messa?».
«Ti vergogni, eh?» gli chiese. «Colpa tua. Come fai a essere fidanzato con una che scrive a questo modo?». Nino non disse niente, seguitò a fissarsi i piedi. Intervenne Bruno, anche lui sull’allegro: «Forse, quando uno s’innamora di una persona non le fa prima l’esame per vedere se sa scrivere una lettera d’amore».
«Cos’è successo quando ti ho fatta? Un incidente, un singhiozzo, una convulsione, è mancata la luce, s’è fulminata una lampadina, è caduta la bacinella con l’acqua dal comò? Certo qualcosa ci dev’essere stato, se sei nata così insopportabile, così diversa dalle altre».
Lei insomma s’era meritata Nino perché riteneva che amarlo significasse provare ad averlo, non sperare che lui la volesse.
«Mi hai confuso le idee. Perché sei come una goccia d’acqua: teng teng teng. Finché non si fa a modo tuo, non la finisci».
A casa mia ormai mi trattavano come se fossi una persona di riguardo che s’era degnata di passare per un saluto frettoloso. Mio padre mi osservava compiaciuto. Sentivo il suo sguardo soddisfatto addosso, ma se gli rivolgevo la parola s’imbarazzava. Non mi chiedeva cosa studiavo, a cosa serviva, quale lavoro avrei fatto dopo, e non perché non volesse sapere, ma per paura di non capire le mie risposte.
Dopo molto tempo fui veramente contenta di me. Poco prima dei ventitré anni ero nientemeno dottoressa, avevo una laurea in lettere, centodieci e lode. Mio padre non era andato oltre la quinta elementare, mia madre s’era fermata alla seconda, nessuno dei miei antenati, per quel che potevo sapere, aveva mai saputo leggere e scrivere correntemente. Che prodigioso sforzo avevo fatto.
Per tutta la giornata pensai alla Oliviero e a come sarebbe stata fiera di sapere della mia laurea col massimo dei voti, del libro che stavo per pubblicare. Quando andarono tutti a dormire mi chiusi nella cucina silenziosa e sfogliai i quaderni uno dietro l’altro. Come mi aveva istruito bene, la maestra, che bella grafia mi aveva dato. Peccato che la mano adulta l’avesse rimpicciolita, che la velocità avesse semplificato le lettere. Sorrisi per gli errori d’ortografia segnati con tratti furiosi, per i buono, gli ottimo, che scriveva cavillosamente a lato quando trovava una bella formulazione o la soluzione giusta a un problema arduo, per i voti sempre alti che mi aveva assegnato. Mi era stata davvero più madre di mia madre? Da un po’ di tempo non ne ero più sicura. Ma era riuscita a immaginare per me una strada che mia madre non era in grado di immaginare e mi aveva costretta a percorrerla. Di questo le ero grata.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines