Storia della bambina perduta di Elena Ferrante

Creato il 26 novembre 2014 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Non posso essere davvero obiettiva, è una premessa che devo necessariamente fare. Il mio giudizio è viziato ed è l’amore a renderlo incompleto, inadatto, distorto. Tre anni fa, con la pubblicazione del primo volume de L’amica geniale, che sarebbe dovuta essere una trilogia e che invece ha visto poi venire alla luce quattro romanzi dalla penna di Elena Ferrante, mi sono legata ad una storia, a questa storia, in un modo che prescinde dalle qualità intrinseche della narrazione, dell’autrice, della trama.

È forse questo modo violento di imporsi al lettore, questo scavare dentro di lui per restituirgli le sue miserie e i lampi di grandezza, di genialità, ciò che rende quest’opera diversa da altri romanzi di formazione, di crescita. E ora che è arrivato il momento di dire addio a Lina e Lenuccia ci si trova, io mi trovo, nell’inaspettato risultato di fare i conti prima con se stessi che con i testi letti. È indubbio che la Ferrante scriva in un modo unico, con la straordinaria capacità di mantenere chiarezza e semplicità pur senza divenire mai banale, senza mai ostentare la sua capacità di costruire una trama arzigogolata e pregna ma anche senza sovraccaricare gli occhi e la testa di chi le sue parole se le ritrova davanti tutte insieme, di chi vive con lei la storia.

Ma c’è altro, molto altro. I suoi indomiti personaggi non assecondano in alcun modo i desideri di chi legge: la Ferrante lascia che crescano, invecchino, vivano e spariscano senza lasciarsi mai corrompere e pilotare da una faciloneria di sentimenti che forse avrebbe reso meno indigesti, dolorosi e laceranti alcuni passaggi, venendo incontro tutto sommato ad un desiderio giustificato di chi ha amato le sue donne: ritrovarle nella vecchiaia felici, soddisfatte, compiute. E invece no, anzi: Lila si è definitivamente smarginata ed è lei stessa perduta come la sua bambina, Lenuccia ha perso nella vita più di quello che ha ricevuto. Il talento eccezionale di Elena Ferrante non si asserve, non devia, non concede ma precede, guida e definisce come se certificasse che il suo lavoro straordinario traccia un racconto che in quanto narrazione e finzione non può cedere ai facili sentimentalismi per rimanere verosimile. La verosimiglianza di queste donne, l’idea che dopotutto ad ognuna di esse sia riconducibile un pezzo di noi è assimilabile ad una profonda lacerazione, io non assomiglio a Lila perché sono capace di grandi intuizioni, sono simile a Lila perché capace di cattiverie, perfidie e meschinità; non assomiglio a Lenuccia perché cerco di perseguire con volontà e fatica i miei desideri ma perché spesso, nonostante tutta l’emancipazione concessami dal periodo storico in cui sono nata, ho messo tutto da parte per un uomo, per l’amore.

Ecco perché non posso e non voglio essere imparziale, non mi interessa affatto stabilire se questo libro sia come lo desideravo, come mi aspettavo o come sarebbe dovuto essere. Ne ho amato a sproposito anche le imperfezioni, ne ho assaporato i piccoli difetti, ho lasciato che le pagine che non mi convincevano mi comunicassero la grandezza di quella che secondo me è la più grande autrice italiana contemporanea. In quelle imperfezioni che hanno sporcato qualcosa di quasi perfetto ho sentito questo romanzo, e gli altri tre, ancora più veri, più importanti, più miei. Non voglio raccontare della trama o di quello che accade, se avete letto i primi tre volumi non vorrete in alcun modo saperlo capitando per sbaglio su questa pagina, né tantomeno voglio raccontarne a chi la saga non l’ha ancora, ahilui, cominciata. La storia conta ma non è tutto, in questi libri più che mai.

Mentre il cerchio si chiude, la bambola torna al suo posto che non è quello giusto e il tempo segnala chi tra le due amiche sia la vera “amica geniale”.

Posso solo dire che questi libri mi hanno lasciato un segno così tangibile e doloroso che mentre ho scoperto che alcuni sono stati delusi dal fatto che il terzo non fosse l’ultimo, io ne avrei voluti ancora, altri cinque, altri dieci, altri cento. La mia Napoli, la mia Lenuccia, la mia Lila che si sedimentano dentro chi comincia a leggere; io da napoletana conosco l’urgenza di scappare e la voglia di restare che si mescolano e danno origine al più classico dei confronti, quello tra Eros e Thanatos. E l’amore e la morte sono i motori principali di questi romanzi, di questo rione dove Lila e Lenuccia crescono, vivono, cambiano e che poi abitano o dal quale fuggono, l’una il rovescio dell’altra.


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