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Storia della lingua italiana in pillole – parte terza

Creato il 13 aprile 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
470px-Pietro_Bembo2di Ivana Vaccaroni. La produzione letteraria della prima metà del Cinquecento eleva a modelli propri autori della tradizione sia latina sia volgare che il periodo precedente aveva evidenziato. Esiste una linea continua fra i due secoli ma la dinamica che li mette a confronto è decisamente più complessa. Il più significativo modello di classicismo volgare del Rinascimento, le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo non si basano infatti sull’adesione alla letteratura del secondo Quattrocento ma su un suo aperto rifiuto. C’è insomma continuità e discontinuità: mentre la letteratura in latino ne segue le tracce, quella in volgare cerca nuovi percorsi e un nuovo rapporto con la società. E le edizioni aldine, cosiddette per il nome dello stampatore veneziano Aldo Manuzio – considerato il più grande umanista dopo Poliziano – impegnano il Bembo negli anni intorno al 1500 a Venezia, di fianco a edizioni curate di testi volgari come quelli di Dante e Petrarca e insieme a quelli di filologia volgare, ultimo contributo dell’ Umanesimo. L’edizione del 1501 restituisce al testo volgare, precisamente al Canzoniere di Petrarca, la sua veste linguistica originaria, depurandola delle alterazioni subite per oltre un secolo.

L’Italia agli inizi del Cinquecento ha perduto l’autonomia politica, ha combattuto guerre devastanti e gli intellettuali hanno dovuto ridistribuirsi nelle varie corti; è venuta a mancare quindi la fiducia nelle capacità conoscitive della ragione umanistica. Laddove la corte aveva però mantenuto grande vitalità, essa si rivela centro e fonte di modelli culturali, di stile e di lingua che possono far ipotizzare l’unificazione ideologica e letteraria della penisola a patto di accettare il nuovo, la varietà.

Tra innovazione e tradizione , pur non escludendo la sperimentazione e puntando a un’unificazione linguistica e letteraria su base toscana e fiorentina si pone una prima tendenza, mentre la seconda insiste sulla affermata letteratura trecentesca, ma ne costituisce una degenerazione. Soltanto rifiutando le espressioni letterarie più recenti, frammentarie e regionalistiche, per dare valore alle massime espressioni del secolo precedente si potrà ottenere un modello da imitare.

Le Prose di Bembo, per questo motivo, si imposero sulle altre opere: egli infatti rinchiuse la lingua e i temi della poesia nell’ambito del Canzoniere di Petrarca,innalzandolo a esempio e rifiutò il plurilinguismo della Commedia di Dante. Affermò inoltre che la lingua è solo quella scritta nei testi letterari, non quella parlata, considerando che essa deve servire come modello per i posteri più che per i contemporanei, facendo diventare così il volgare letterario, come il latino, lingua separata dall’uso moderno, stabile e universale.

Per la prosa, invece, il Bembo si attiene a Boccaccio come esempio da seguire, a livello grammaticale, e ciò non era affatto scontato. I Medici promuovevano il volgare, ma fuori dall’ambito toscano la lingua del Decameron non era ritenuta l’unica valida.

Nel secolo della discussione che aprì la “ questione della lingua” per giungere a una lingua unitaria e lontana dalle varie municipalità molti intellettuali ritennero necessario impostare anche il lessico, per far conoscere anche al di fuori della Toscana le parole dei trecentisti. I primi dizionari riunirono il meglio delle opere delle Tre Corone fiorentine, Dante, Petrarca e Boccaccio: a Venezia, infatti, viene stampato nel 1535 il Vocabolario di Lucilio Minerbi, che si presenta come una raccolta di vocaboli di origine boccacciana posta in appendice al Decameron.

Featured image, Pietro Bembo


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