I ContenutiC'era una volta la Provincia italiana ricca, felice e molto produttiva.
Che commerciava con l'estero, dava del tu ai colossi oltre confine con l'orgoglio di una identità, prima che nazionale, comunale. C'era un tempo in cui anche gli stupidi facevano soldi, in un paese dove il PIL cresceva di due cifre l'anno. Dove i soldi guadagnati con allegria, spensieratezza e persino cafonaggine venivano ben esibiti in beni di lusso.
Poi arrivarono i guru della globalizzazione a dire che si doveva cambiare, ad andare in televisione a sponsorizzare mercati stellari in Cina e a sostenere che il vecchio modello, quello dove si stava bene, andava male.
Questa è la "storia della mia gente", non solo degli "stracciaroli di Prato", ma di una provincia felice e intelligente, sacrificata alla globalizzazione. La RecensioneIl breve saggio che ha da poco vinto il premio Strega per il 2011 è la storia, famigliare e personale, di una piccola impresa di piccoli artigiani tessili, un lanificio del distretto tessile di Prato, che diventa emblematica della situazione di profonda crisi d'identità vissuta da tanta parte del sistema produttivo Italia.
L'autore è insieme scrittore e imprenditore.
O meglio, lo era: il libro si apre nel 1994 con la stipula dell'atto notarile di vendita del lanificio di famiglia, un atto fortunato, che precede la crisi del settore e dell'area e che quindi dovrebbe essere una sorta di colpo gobbo per chi scrive. Non è così in realtà: la cessione dell'impresa di famiglia per l'autore assume il significato intimo di un ripudio del passato - le fatiche delle generazioni vissute sotto il fascismo e durante la ricostruzione, quando
'anche gli stupidi riuscivano ad arricchirsi'- e di un'abdicazione dal futuro - i sogni e il destino dei propri figli nel tramonto della Versilia da bere, iconizzata nello storico locale 'La Capannina' e nel desiderio di rivivere i ruggenti anni '80.
Nesi parte da un malessere reale e profondo, che è quello di certa parte dell'Italia alle prese con la lotta impari contro una marea umana di manodopera a basso costo con gli occhi a mandorla, al quale tenta di avvolgere un mantello letterario, quello della decadenza dorata in stile Gatsby.
La patina romanticheggiante pervasa da questo sentimento del 'viale del tramonto', malinconica e dolcemente nostalgica, finisce invece per appesantire la pagina.
L'autore si produce in una appassionata apologia di tutta la piccola impresa, il nerbo del sistema produttivo italiano, e trasforma la parabola del distretto tessile pratese in immagine simbolica della storia degli artigiani trasformati in imprenditori di successo da circostanze storiche e geografiche quasi casuali - delle quali hanno saputo, chi più chi meno bene, approfittare -: oggi si risvegliano da una colossale sbornia e realizzano che quel sogno dorato di benessere facile è stato fagocitato da un nuovo spettro famelico che s'aggira per il mondo (non più solo l'Europa), la globalizzazione, in forma di idraulici polacchi, portinai filippini e operai cinesi.
Le responsabilità di avere allegramente sperperato quel patrimonio di abilità artigianali e commerciali e di non aver saputo difendere il proprio know-how vengono addossate alla politica, nella figura di Vincenzo Visco, incapace di agire se non tassando la produzione con l'IRAP e insieme anche agli economisti tromboni, segnatamente Francesco Giavazzi, che soloneggia dalle colonne del Corriere della Sera, se la prende con la refrattarietà dell'impresa italiana al cambiamento e alla modernizzazione e propone di svecchiare le strutture con consulenti finanziari e analisti matematici.
Nei toni amari e profondamente vissuti c'è la parte vera e toccante di questa invettiva politica che vorrebbe dare voce a uno stato d'animo collettivo: la sensazione di impotenza di fronte a questi cambiamenti epocali che irrompono nella dimensione locale di Prato con l'aspetto estraneo dell'immigrazione cinese.
Non c'è alcuna ombra di xenofobia o di altre forme di egoismi partigiani nelle recriminazioni che Nesi propone sulla mancanza di una politica dei dazi a difesa dei prodotti locali. Si sente solo la disperazione di fronte alla vista del capannone, già alienato, svuotato della presenza umana e soprattutto del lavoro ed è sentimento genuino. Lo scoramento per la mancanza di prospettive si esprime coralmente nella manifestazione di piazza a Prato cui partecipano insieme imprenditori e lavoratori, anche un piccolo proprietario cinese taglieggiato dalle triadi, tutti uniti in difesa di un orgoglio per la propria storia di artigiani e lavoratori manuali.
Manca una soluzione al problema, e del resto se quell'età dell'oro che aveva prodotto lo splendore della Versilia degli anni '60 era stato il frutto di una serie di circostanze fortuite unite all'intuito e al patrimonio di conoscenze di tanti piccoli artigiani non ci si può aspettare che il momento duri in eterno. Il testimone passa, come l'Aquila romana, simbolo dell'impero e del potere - soprattutto quello economico, visto che un'aquila dalla testa bianca campeggia sul dollaro - verso Occidente, anzi: ha scavalcato anche il Far West al tramonto, ha raggiunto l'alba e sugli spalti della Grande Muraglia ha trovato il Far East trasformandosi in fenice.
Tutto questo nei piccoli distretti industriali italiani, come quello di Prato, arriva con la furia devastante di un tifone: 'Storia della mia gente' ne è la testimonianza.
Ma rinuncia a essere fino in fondo il racconto attuale di una crisi dilungandosi troppo sul vissuto personale dell'autore, che pure di quel racconto fa parte, e lo trasfigura in una dimensione letteraria, quella delle opere di Francis Scott Fitzgerald, che non appartiene però alle tradizioni reali e locali di Prato.
La prima persona del ricordo accorcia troppo le distanze e il valore della testimonianza rimane sminuito.
Giudizio:+2stelle+
Articolo di Tuo NomeDettagli del libro
- Titolo: Storia della mia gente
- Autore: Edoardo Nesi
- Editore: Bompiani
- Data di Pubblicazione: 2010
- Collana: collana
- ISBN-13: 9788845263521
- Pagine: 163
- Formato - Prezzo: paperback - euro 14,00