Geroglifico viene dal greco hieroglyphicòs, composto da hieròs (sacro) e glyphein (scrivere). La scrittura era infatti privilegio dei sacerdoti e quindi era sacra.
All’origine della scrittura geroglifica ogni segno era usato come pittogramma, indicava, cioè, in modo figurato il suo significato.
Successivamente il bisogno di esprimere concetti astratti e nomi propri condusse all’uso dei segni per il loro valore fonetico, secondo il principio dei “rebus”.
La scrittura geroglifica è detta “monumentale” dal momento che veniva usata principalmente per le iscrizioni scolpite sulle pareti dei templi e delle tombe.
Per facilitare le iscrizioni a penna su papiro si scelse una scrittura corsiva, detta “ieratica”.
Nel VII secolo a.C. comparve sui papiri un’altra forma di scrittura detta demotico o “scrittura popolare”, che consentiva una stesura veloce dei documenti.
La scrittura egiziana è “ideografica”, composta cioè di ideogrammi, figure che riproducono sia l’uomo e le sue azioni, sia animali, piante, oggetti domestici e ogni altra specie di rappresentazione della realtà.
Gli esercizi di copiatura che i candidati scribi dovevano eseguire per anni venivano fatti su ostrica ossia piccoli pezzetti di vasi o scaglie di pietra calcarea. Nel momento in cui l’apprendista diveniva esperto l’ostrica lasciava il posto al papiro.
Il papiro si otteneva dalla canna che durante l’Antico Regno cresceva in genere lungo il fiume e i canali, ma che con lo scorrere del tempo diventava sempre più introvabile. Il nome “papiro” deriva verosimilmente dalla frase egizia “pa per-aa” che vuol dire “ciò che appartiene al re”. Invero veniva prodotto e smistato sotto il monopolio reale.
Reciso il gambo della canna, che poteva raggiungere il diametro di un avambraccio, si toglieva il rivestimento verde esterno che proteggeva il midollo bianco; questo veniva tagliato verticalmente in sottili pezzetti, poi collocati su una piastra, l’uno accanto all’altro, a formare delle strisce erette sulle quali si ponevano file orizzontali.
Questa specie di “stuoia” veniva percossa con particolari mazzuoli di legno e successivamente messa sotto peso per alcuni giorni. Una volta asciutta si otteneva un foglio resistente grazie alla linfa che fuoriusciva dal midollo.
I fogli misuravano 40×50 cm circa e potevano essere uniti in modo da formare un lungo rotolo con l’accortezza che le fibre orizzontali costituissero la parte superiore: questo sistema garantiva che il papiro, arrotolato, non si spezzasse sul lato scritto.
Il corredo dello scriba era formato da una tavoletta con l’inchiostro, da un portapenne e da un vasetto d’acqua. Due cavità nella tavoletta contenevano dischetti di inchiostro: quello nero, prodotto dal carbone, e quello rosso, ricavato dall’ocra, mescolati a gomma e fatti consolidare. Lo scriba intingeva la punta del piccolo pennello di giunco nel vasetto d’acqua, la immergeva nell’inchiostro e poi dipingeva.