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Storia della tragedia in Marocco, quando la realtà supera l’immaginazione, il racconto del superstite

Creato il 10 aprile 2015 da Andrea Scatolini @SCINTILENA

Il racconto degli eventi nel canyon del fiume Wandrass in Marocco supera qualsiasi cosa immaginata.

Probabile carenza di competenze e attrezzature, ma il racconto del superstite ci mette al corrente di uno scenario spaventoso in cui l’abbandono di un ferito sotto una cascata di acqua ghiacciata è crudeltà senza limiti, cose mai viste in un intervento di soccorso fatto da un servizio pubblico. Non potevamo pensare a niente di simile in un paese civile, il Marocco è lontano una ventina di km dalla Spagna nello spazio, ma è lontano un secolo.

Juan Bolívar, l’unico superstite dell’incidente avvenuto in Marocco una settimana fa, questa pomeriggio ha raccontato la sua esperienza sui monti dell’Atlante e sul soccorso, che dice “non è stata una cosa normale”. Con forte emozione, il giovane ha descritto i fatti accaduti. “Li ho visti parlare tra loro [Gustavo Virues e José Antonio Martínez], ho guardato giù per un attimo e li ho visti cadere … era come un film. Non credevo che stava veramente accadendo.

La conferenza stampa è iniziata con un minuto di silenzio per le vittime, Bolívar ha raccontato quello che è successo, da Domenica 29 quando Gustavo è morto nella caduta, e come ha seguito il suo compagno José Antonio, “Ho preso tutti i vestiti caldi possibili e glieli ho buttati sopra (…)”. Per cinque giorni l’ho accudito, nutrito, ha parlato.
Gustavo Virues, appassionato di avventura sognava di viaggiare sull’Atlante
Quando finalmente è arrivato il soccorso, hanno gettato una corda a Juan Bolivar e una barella. “Ho visto che nessuno giù si adoperava per aiutarlo a mettersi sulla barella, io non sono un medico.” Poi è sceso. “Ancora cinque minuti, siamo vivi e stiamo andando a casa”, ricorda di aver detto a José Antonio prima che cominciassero a tirare.
Assicura che non capivano cosa stesse succedendo, ad un certo punto la barella è finita sotto cascata e li c’è rimasta una notte intera. “Ho ascoltato annegare”.
Con un sentimento di rabbia e impotenza, Juan ha raccontato di come il suo compagno ha resistito “come un cinghiale con la sua forza, è stato grande”

“Mi chiedo come si possa raggiungere un posto così pericoloso”, dice Mohamed Ahardul, del vicino villaggio di Tassaout, che è stato il primo marocchino a raggiungere il ciglio del burrone e vedere i tre spagnoli feriti.
“C’è stato un enorme quantità di neve e molto freddo, ma è un posto molto difficile”, dice al telefono da Tassaout.
Venerdì 3 aprile nel pomeriggio un gruppo di spagnoli è venuto al suo villaggio a chiedere aiuto: “Abbiamo comunicato a gesti”, hanno detto “Wandrass, wandrass” che è il nome del canyon dove erano caduti gli amici.
Ahardul Mohamed, il fratello e un vicino di casa si sono messi in marcia con gli spagnoli per arrivare, dopo quattro ore di cammino, al margine superiore del canyon. Camminarono nella notte e passarono tutta la notte in cima.
Ahardul non ha molto altro da dire. Da quel momento il comando è passato alla gendarmeria e alla Protezione Civile marocchina.
La spedizione che ha accompagnato il sopravvissuto ha detto: “Quello di José Antonio è stato un omicidio per negligenza del governo marocchino che voleva dare un immagine di capacità al mondo”, ha detto José Morillas, compagno degli speleologi deceduti. Inoltre, i membri della spedizione hanno avviato un’azione legale, hanno contattato l’ufficio del giudice Garzón che si è offerto di prendere il caso.

Bolivar ha fatto un resoconto dettagliato di quello che è successo alla spedizione dopo aver ringraziato tutti coloro che hanno partecipato alle operazioni di soccorso.
Come spiegato da sei speleologi partiti alle sei verso il Canyon Wandrass, accompagnati da una guida locale, una volta arrivati all’ingresso del canyon, il gruppo si è separato, e Gustavo Virues, José Antonio Martínez e Juan Bolivar hanno salutato il resto della comitiva con cui si sarebbero dovuti incontrare dopo tre giorni.
Dopo 12 ore di cammino, i tre si sono fermati a mangiare e a rivedere il percorso da tenere, visto che c’era una cascata insuperabile e avrebbero dovuto fare una deviazione. (n.d.r. sembrerebbe uno sforramento)
Infatti, come spiegato, per superare la cascata dopo il primo salto era necessario scalare una parete. Così, Gustavo Virues ha iniziato la salita, mentre José Antonio Martínez faceva sicura. Nel frattempo, Bolivar stava raccogliendo i materiali per essere pronti per proseguire.
Dato che José Antonio aveva perso il contatto visivo con Gustavo Virues, ha deciso di salire. A un certo punto, senza accorgersi di come possa essere successo, Bolívar ha visto cadere entrambi.
Dopo aver superato lo “shock” Bolívar ha raggiunto Martinez, perché era quello più vicino. Vide che stava sanguinando dalla testa e aveva della convulsioni, ma era cosciente. Mentre l’altro non reagiva e lo ha dato per morto.
Bolivar ha aiutato il compagno a sganciarsi dalla corda e l’ha portato più in basso in un luogo riparato, costruendo una sorta di igloo nella neve per proteggersi dal freddo e mettere i vestiti dell’amico morto al ferito. Ha cercato un rifugio senza neve e ha trascorso la notte lì, a pensare “al peggio”, scrivendo messaggi di addio ai loro amici.
La mattina dopo verificando che l’amico era ancora vivo ha cominciato ad avere fiducia, e così è rimasto per sei giorni con lui.
Ad un certo punto sono arrivati due uomini, poi identificati come gendarmi marocchini, che hanno gettato una corda e una barella per farci mettere Jose Antonio.
Bolivar, si è rifiutato di fare tutto da solo non essendo un soccorritore e ha fatto scendere un gendarme. Bolivar allora ha detto al suo compagno di aspettare “cinque minuti” che stava già andando a “casa”. Ma la barella non usciva, e il gendarme gli ha detto di non preoccuparsi che aveva lasciato la testa del ferito fuori dall’acqua. “Non ho visto una logica, non so perché la barella non stava andando in su. Ci fu un altro tiro alla fune, ed ero sotto la cascata”, ha affermato.
Venne la notte e Jose Antonio “era ancora in acqua,” e Bolivar non poteva fare niente, ascoltando le sue grida: “. Io soffoco, mi stò affogando” La Gendarmeria è scomparsa da li, e dopo due ore è arrivata la Protezione Civile del Marocco, ma il suo compagno, che aveva tenuto in vita in questi giorni, che aveva alimentato e curato, era morto.
La Protezione Civile ha detto poi che il modo più rapido per uscire era “un sentiero da capre” e ha dovuto camminare quattro ore per raggiungere un villaggio dove è stato curato ed è stato messo su una barella.
“Non ho potuto fare niente, vedo come qualcuno dovrebbe venire a salvarti e questo ti dà un sacco di rabbia” è rimasto l’unico sopravvissuto, che ha criticato il tentativo di sollevare per 300 metri “a mano libera”, senza nessun altro aiuto, il suo compagno che tra barella e acqua avrà pesato più di 80 chili.

Articolo tradotto da Andrea Scatolini, dal blog http://andaluciaexplora.blogspot.com.es/


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