Storia di chi fugge e di chi resta (#Amicageniale)

Creato il 27 febbraio 2015 da Povna @povna

Arrivati alla terza puntata della serie, il meccanismo di raccordo tra i vari libri inizia a diventare un'abitudine. Il lettore non si stupisce dunque, aprendo le pagine di Storia di chi fugge e di chi resta, di trovarsi di fronte un salto temporale sul presente, che interrompe per un tratto il continuum narrativo della seconda puntata. Il Nuovo cognome si chiudeva lasciando Lenù alle prese con la prima presentazione, milanese, del suo primo romanzo; si riparte, invece, di nuovo dal presente. "Ho visto Lila per l'ultima volta cinque anni fa, nell'inverno del 2005″, ci ricorda Lenù, con la sua voce narrante, riportando lo sguardo un'altra volta sul rione. Il lettore viene accompagnato lungo riflessioni su Napoli, e i cambiamenti della città in cui Lenù ha voluto far ritorno, anche per misurare - cancellando la distanza nello spazio - la distanza del tempo trascorso, con ciò misurando anche quella, espansa, della sua propria formazione. Il capitolo si chiude su una scambio che è significativo sotto il profilo del narratore inattendibile.
"Che intenzioni hai? Vuoi scrivere di noi? Vuoi scrivere di me?" - domanda Lila a Lenù. E, quando l'amica ammette, dopo un dialogo serrato che, sì, un po' "ci sta pensando", Lila la avverte, secca: "Mi devi lasciar stare, Lenù. Ci devi lasciar stare tutti. Noi dobbiamo sparire, non ci meritiamo niente, né Gigliola né io, nessuno". E aggiunge, in uno scambio ancora più significativo:
"Guarda che ti tengo d'occhio".
"Sì?".
"Ti vengo a frugare nel computer, ti leggo i file, te li cancello".
"Ma va'".
"Credi che non sono capace?".
"Lo so che sei capace. Ma mi so proteggere".
Rise al suo vecchio modo cattivo.
"Da me no".
Lila si dichiara in grado, dunque, di controllare, e all'occorrenza manomettere, la narrazione di Elena - con ciò convogliando l'attenzione del lettore sull'attendibilità del progetto narrativo di cui sta divorando avidamente le puntate. Ma non c'è tempo per riflettere ulteriormente su questa cruciale informazione, o almeno non troppo, si riparte. E si riparte dalla presentazione del libro. Lenù racconta il suo senso di frustrazione per un incontro letterario che l'ha presa alla sprovvista, di fronte al quale si sente comunque, dopo tutti i suoi studi, inadeguata e incolta. Ma Nino arriva, dopo che un uomo dal pubblico ha fatto un intervento che sembra demolirla, a difenderla prontamente con la sua capacità retorica, novello cavaliere letterario.
Poi il racconto delle due storie intrecciate prosegue: Lenù sposa Pietro, e si trova, per via matrimoniale, inserita nel mondo culturale che conta; la coppia si trasferisce a Firenze, ha due bimbe; ed Elena, imprigionata nel ruolo di madre e moglie, sperimenta, progressivo, un senso di frustrazione culturale e matrimoniale. Ma il terzo romanzo è anche - come è stato notato in ogni recensione - il più politico: gli anni Settanta arrivano anche in Italia, e la travolgono; Lenù, specie a Milano, dove si reca per motivi editoriali, viene a contatto con il mondo della contestazione studentesca (soprattutto per il tramite della cognata, insegnante universitaria che vi è immersa nel profondo, tanto da avere reso la sua casa una sorta di comune culturale). Lila, invece, a Napoli, con il suo lavoro da operaia al salumificio, sperimenta l'universo della contestazione economica e sociale. Fili e vite si sovrappongono e si intrecciano, in una mescolanza interclassista che - questo il messaggio che la voce narrante affida soprattutto all'istanza del parere di Lila (ma non solo) - è in realtà fondata sulla sabbia: c'è il PCI, con le riunioni di sezione, l'extra-parlamentarismo, i volantinaggi davanti alle fabbriche, gli scioperi, gli scontri. Lila vi prenderà parte, in qualche modo subendoli, e sempre guardando con critica e distacco i figli della Napoli bene che giocano alla rivoluzione. Infine, dopo una serie di episodi che coinvolgono in prima persona la sua fabbrica, deciderà insieme ad Enzo e al proprio figlio di tornare a prendere residenza nel rione. Alcuni dei compagni di sempre, intanto, faranno le loro scelte: molte donne prendendo la via, più o meno consapevole, di mogli dei ras mafiosi delle famiglie potenti (i Solara, i Carracci); altri, i compagni più fedeli, scendendo (come Antonio, il primo fidanzato importante di Lenù, quando era ancora adolescente) dolorosamente a compromessi; un altro ancora, Pasquale, il più politico di tutti, legandosi alla figlia della professoressa dei tempi del liceo di Elena, e prendendo insieme a lei la via della lotta armata.
Se la lente interpretativa del contrappunto alla Meglio gioventù funziona come possibilità critica (per la 'povna, lo ribadisce, sì, e parecchio), ancora una volta i richiami in parallelo sono molti: la parte politica del romanzo rimanda così alla storia di Giulia e Nicola nella Meglio gioventù, con i suoi diversi esiti; così come la scelta di Lila di restare attaccata alla sua classe sociale, caparbiamente, è specchio (se pure in parte deformante) delle scelte di Matteo Carati, il poliziotto. Non mancano poi alcune epitomi testuali, precisissime: che la cognata di Lenù, Mariarosa, venga una volta a Firenze "a presentare un libro di una sua collega di università sulla Madonna del parto" è un dato che sembra strizzare l'occhio alla professione scelta dalla figlia di Nicola e Giulia, come restauratrice d'arte, così come alla carrellata di dipinti di Madonne con bambino che Sara mostrerà, orgogliosamente spiegandole, al termine del II Atto del film, durante il primo incontro dopo tantissimi anni con la madre. Solo, a essere rovesciati sembrano i messaggi (e dunque anche i valori?) di riferimento. Se nel film di Giordana l'ossessiva fiducia nell'ottimismo della volontà, e nella conquista di una trama di vita personale e soddisfacente sembra essere il sottofondo positivo del messaggio (è Nicola, alla fine, a 'vincere'), nella quadrilogia della Ferrante il dubbio, nemmeno troppo sommesso, è che sia Lila, in realtà, a capire, e incarnare, tutto ciò che conta, ostinandosi a respirare la vita del rione. Questa concezione pessimistica di fondo (che crede solo nella lotta darwiniana, e molto poco, di conseguenza, nella possibilità salvifica di quella di classe) rimanda ancora una volta a Verga, al giovane 'Ntoni Malavoglia, che, se non è presente davvero un nessun personaggio specifico dei quattro romanzi (lo è un po' il fratello di Lila, Rino; un po' Nino, ma in fondo un po' tutti), sparge la sua presenza scomoda per ogni piega.
E' infine è l'ultima parte del romanzo a determinare (anche questo in prossimità modale con La meglio gioventù) la vocazione della trama più esplicitamente romanzesca. Ancora una volta, sotto forma di un personaggio; ancora una volta, quello di Nino Sarratore. La brillante carriera del giovane lo ha portato a Milano (come docente universitario) e poi di nuovo a Napoli, dove si è (finalmente) sposato e ha fatto un figlio. Il lavoro lo riporta però abbastanza spesso a Firenze; dove reincontra, e prende a frequentare, per la gioia di tutti, la casa di Elena e Pietro. Ed è così che quello che doveva accadere da sempre, finalmente succede, come previsto: travolti da una passione che è violentemente neo-romantica (per lei) o ferocemente egocentrica (per lui), Lenù e Nino diventano amanti, al punto che Elena decide di abbandonare, per Nino, il proprio status cultural-sociale e la famiglia, per seguire la via di una passione che vuole leggere insieme come catartica e letteraria. Le pagine nelle quali Elena telefona a Lila, per darle la notizia, innescano quelle conclusive del romanzo, segnando anche una frattura del rapporto. La reazione di Lila è sibilante quanto netta:
"Il mio matrimonio è finito, Lila. Ho rivisto Nino e abbiamo scoperto che ci siamo sempre amati, fin da ragazzini, senza accorgercene. Perciò me ne vado, comincio una vita nuova".
Ci fu un lungo silenzio, poi mi chiese:
"Stai scherzando? [...] Tu butti via tutto quello che sei per Nino? Tu rovini la tua famiglia per quello lì? Sai che cosa ti succederà? Ti userà, ti succhierà il sangue, ti toglierà la voglia di vivere e ti abbandonerà. Perché hai studiato tanto? A che cazzo è servito immaginarmi che ti saresti goduta una vita bellissima anche per me? Ho sbagliato, sei una cretina".
Queste parole, durissime, traguardano il passato per riportare l'attenzione del lettore sul presente dal quale Lenù scrive (pare di capire, in solitudine) e, di lì a poco, il decollo dell'aereo nel quale lei e Nino affrontano ufficialmente, insieme, un primo viaggio da coppia, interrompono il flusso narrativo un'altra volta, proiettando la storia verso la quarta puntata.

(Per il venerdì del libro).


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