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Storia di Mayta, di Vargas Llosa

Creato il 24 dicembre 2011 da Postscriptum

Storia di Mayta, di Vargas Llosa

All’esterno della rimessa non c’era niente che indicasse il genere di attività che aveva luogo lì dentro, ma, all’interno, era appeso alla parete un manifesto con le facce barbute di Marx, di Lenin e di Trotzkij, portato dal compagno Jacinto da una riunione di organizzazioni trotzkiste a Montevideo. Ammucchiate contro le pareti c’erano pile di “Voz Obrera” e volantini, manifesti, adesioni a scioperi o denunce che non erano riusciti a distribuire. C’erano un paio di seggiole sfondate e certi sgabelli a tre gambe, sul genere di quelli usati per mungere o per fare sedute spiritiche…

La malinconica descrizione della immaginaria sede di Lima del P.O.R. (T), Partito Operario Rivoluzionario (T) – dove “T” sta per Trotzkijsta – è forse il modo più sintetico per riassumere le intenzioni non troppo celate di questo romanzo di Mario Vargas Llosa. Inoltre è anche la chiave di lettura della disillusione dell’autore stesso, dopo l’innamoramento castrista del primo periodo.
Per dirla con Pasolini (la sua ultima intervista, link), l’ennesima rivoluzione mancata. La speranza di una terra degradata e degradante, per condizioni sociali, economiche e politiche – mi riferisco a tutto il continente sudamericano – si riesce a percepirla da un rapido sguardo a quelle poche sedie sfondate di questa sgangherata sede clandestina.


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