Qualcuno forse ricorderà appena il suo nome. Esso è legato alla vittoria dell’ultima maratona di New York, in cui il giovane keniano arrivò primo.
Ma adesso, quello che i “media” definiscono il maratoneta solidale, il trentenne nativo di Eldoret, sta già pensando alle prossime Olimpiadi di Rio de Janeiro e per questo, instancabile, si allena.
Personalmente leggere di lui mi ha riportato alla memoria la struggente storia di Samia, l’atleta somala, perita purtroppo tragicamente in un naufragio nel nostro Mediterraneo, protagonista del romanzo-biografia di Giuseppe Catozzella “Non dirmi che hai paura”.
Tutte storie simili queste dello sport in Africa, fatte di pochi mezzi a disposizione, di tantissimi sacrifici ma di immenso amore per la disciplina in questione e di tanta voglia di vincere.
Perché in Africa vittoria nello sport equivale a riscatto. E’ sopratutto realizzazione. E questo va capito, apprezzato e sostenuto.
Stanley tutte le mattine, proprio come faceva Samia in un contesto certamente differente e ancora più povero, si allena sulla pista dell’università dell’Africa orientale di Baraton.
E corre due volte i 2000 metri con un’interruzione tra una corsa e l’altra di solo due minuti.
Quando ha terminato il suo allenamento, fa una doccia veloce, indossa i panni da lavoro e s’impegna con gli operai che stanno costruendo il nuovo training camp di Kapsabet.
L’obiettivo di questa costruzione è quello di offrire delle opportunità nel mondo dell’atletica e dello sport in generale a tanti giovani come lui.
I ragazzi africani, com’è naturale che sia, hanno dei sogni e Stanley, con tutta la sua generosità di persona “buona” qual’è, ha deciso di dare loro una mano a realizzarli.
Il denaro ricavato dalla vittoria a New York lui, infatti, non l’ha affatto tenuto per sé ma ha organizzato, al rientro dalla Grande Mela, una ricca festa cui hanno partecipato familiari, parenti , amici e conoscenti proprio come è uso in Africa.
La solidarietà e l'amicizia disinteressata sono, per lui in particolare, valori imprescindibili. Indice di una generosità innata.
Bellissima e dovrebbe far riflettere parecchio la risposta quando a Stanley si chiede il perché di non avere utilizzato per sé il denaro della vittoria e lui ribatte senza stare troppo a pensarci su : <<Non mi piacciono gli affari, la mia vita è la corsa>>.
E' proprio così.E' sincero.
Stanley Biwott naturalmente ha una famiglia e un figlio, Rooney, ma la sua vera famiglia, a dirla tutta e a dirla vera, sono i giovani che tutte le mattine si allenano con lui tra i quali, prima o poi, emergerà di certo qualche nuovo talento.
Per il momento Stanley, mentre sogna l’oro di Rio,continua a macinare intanto polvere con tutta la forza che ha in corpo (compresa quella di volontà) in attesa di un’altra importante sfida, quella della prossima maratona di Londra, in aprile.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana )