Nacque intorno al 100 a.C ed ancora oggi il sari è uno degli indumenti più affascinanti che una donna possa indossare.
Certo, i sei metri di stoffa che lo compongono non sono il massimo della comodità ma coloro che sono abituate, per tradizione lo indossano anche per lavorare nei campi o effettuare lavori di muratura.
Il suo nome deriva dal Pracrito “sattika” citato nella letteratura giainista ma un’antica statuetta rappresentate un sacerdote che indossa un drappo rinvenuta negli scavi dell’Indus Valley Civilization conferma che le sue origini vanno ricercate molto indietro nel tempo.
Il sari si fissa al punto vita ad una sottogonna chiamata pavada, avvolgendolo intorno al corpo e lasciando poi cadere la parte ricamata sopra la spalla. Può essere considerato simbolo dell’India in quanto nato in questo paese ma ogni stato conserva tradizioni e stili diversi sia per quanto riguarda i tessuti utilizzati e le loro lavorazioni che per quanto riguarda il modo di indossarlo.
La prima fase per la sua realizzazione è la tessitura, seguono poi la tintura e la stampa o il ricamo.
La scelta del sari non è mai facile, ce ne sono di vecchi, di nuovi, in seta, in cotone ed anche in materiali sintetici. I colori sono sempre meravigliosi ed ognuno è diverso dall’altro.
I sari antichi, un po’ consumati e sdruciti non vengono eliminati ma riutilizzati per la creazione dei kantha, patchwork di colori e tessuti differenti per trapunte, copriletto o stole. Una storia in continua evoluzione perché pare che questi nuovi oggetti cuciti a mano abbiano poteri magici. Si crede infatti che riescano a conservare le virtù ed il calore della persona che indossava i sari impiegati e, per questo motivo, vi si avvolgono i neonati in segno di benedizione e protezione.
Ne ho comprati quattro, in seta, di colori diversi ma ognuno riccamente ricamato in oro. Con quello verde smeraldo vorrei farmi realizzare un abito, per non interrompere l’antica tradizione indiana.
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