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Storia di un simbolo che resterà tale, comunque.

Creato il 12 marzo 2012 da Sirinon @etpbooks

Spyros1Era il 1896 e Spyridon Louis, reduce dal servizio militare, era tornato a casa a Maroussi, un piccolo borgo fuori da Atene, borgo che oggi è stato inglobato nel nord della città da quella babele di stradine nate come il radicchio spontaneo, senza un ordine né apparente né urbanistico. Tutte in un modo o in un altro sarebbero poi convogliate nella grande arteria che portava al centro e che invece, in direzione opposta, si perde nelle colline che di lì a pochi chilometri permettono di rivolgere lo sguardo al magnifico e misterioso dedalo di montagne e gole dell’Epiro. Una specie di strada statale, di concezione ed epoca romana, così come molte altre che si dipartono dalla città. Spyridon era tornato, seppur per breve tempo, perché le incombenti inquiteudini con le terre balcaniche, avrebbero presto richiesto ancora il suo servizio in divisa, a dare una mano in famiglia. Suo padre era un portatore di acqua. A quel tempo Atene era sprovvista di un acquedotto vero e proprio e quasi tutti gli isolati che si erano ammassati intorno al nucleo centrale venivano pertanto approvvigionati a mano da chi,come lui, quasi per tradizione familiare, faceva avanti e dietro dalla periferia trasportando pesanti otri con il presumibile aiuto di un somarello. E tutto sarebbe passato via nell’indifferenza di una vita in definitiva tranquilla ma modesta, ben fuori dai clamori dell’alta società e ancor più del clamore internazionale.

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Fu in quell’inverno che venne deciso, a seguito dell’idea di un francese, un certo Pierre De Coubertin, di riproporre ad Atene i giochi olimpici, quelli che nell’antichità, presso la città di Olimpia venivano celebrati in onore degli dei, ogni quattro anni, per la durata di una settimana, periodo durante il quale ogni ostilità o guerra in atto fra le città-stato veniva sospesa. L’idea stavolta era di riproporre tale manifestazione coinvolgendo il maggior numero possibile di nazioni, volendo farne un appuntamento che avesse rilevanza internazionale. Ciascun paese avrebbe inviato i propri migliori atleti alla condizione che non fossero professionisti, non dovevano infatti essere dediti a quello sport per mestiere, ma solo per amore dello stesso. E numerose furono le iscrizioni rifiutate, tra le quali anche quella di Carlo Airoldi, un podista italiano, non accettato proprio perché giudicato dalla severa commissione un professionista. Per la Grecia era un’occasione eccezionale, un evento che avrebbe dato grande lustro al paese e, pertanto, cercò di prepararsi non solo con la sistemazione degli impianti sportivi ma, soprattutto, allestendo una squadra di atleti che avessero tutte le carte in regola per primeggiare. Ben lo sapeva Re Giorgio I che, inoltre aveva di che guadagnarsi ancora il rispetto come monarca, visto il suo arrivo imposto e non voluto, nel mentre stava apprestandosi a seguire la carriera militare nella flotta danese, come rampollo della casata Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg. Le specialità previste erano nove: Atletica leggera, Ciclismo, Ginnastica, Lotta, Nuoto, Scherma, Sollevamento pesi, Tennis, Tiro a segno, per un totale di 43 gare ma, sopra a tutte, una era considerata in Grecia la gara per eccellenza, gara per la cui preparazione fu applicato ogni sforzo possibile: la maratona. Era una gara piena di simboli per questo paese da quando, leggenda vuole, che il soldato Filippide, al seguito del generale Milziade, dopo aver vinto la battaglia di Maratona contro gli invasori persiani, nel 490 c. C., venisse inviato dallo stesso generale ad Atene a dare la notizia che avrebbe scongiurato l’immediata evacuazione e caduta della città. Filippide compì il tragitto interamente di corsa ed arrivò stremato all’Acropoli, gridando “Nenikékamen!!!, abbiamo vinto!”, dopodichè sfinitò morì.

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La gara invero fu studiata nei minimi particolari da un amico del De Coubertin, Michel Jules Alfred Bréal, filologo francese e profondo studioso delle lingue e dei miti antichi tanto che da molti viene considerato come il padre della semantica. Ma, a parte queste precisazioni, messe lì giusto per far comprendere il contesto che vide di fatto la Grecia usufruire di una occasione che ben poco per il momento aveva di propriamente ellenico se non il ripristinarsi di una leggenda, torniamo al nostro Spyridon, per gli amici e per il mondo intero poi, più semplicemente Spyros. Fu nella fattispecie un colonnello che aveva avuto modo di verificarne le qualità durante il servizio militare che si ricordò di lui e lo mandò a chiamare per partecipare alle durissime selezioni che avrebbero decretato i partecipanti. Due prove furono eseguite e Spyros in realtà riuscì solo per un soffio, alla seconda prova, a rientrare nei tempi massimi previsti. Il clamore intanto cresceva anche perché la maratona si sarebbe disputata proprio ricalcando le gesta di Filippide: sarebbe partita da Maratona dove una colonna commemorativa ne ricordava il gesto e sarebbe terminata nello storico Stadio Panathinaiko, qui meglio conosciuto come il “Kallimarmaron”, ovvero lo “stadio di marmo”, unico al mondo nel suo genere, dove anticamente si disputavano i “giochi Panatinaici” in onore della dea Atena. Per l’occasione era stato restaurato grazie all’intervento di un benefattore, greco stavolta: Georgios Averof, che era stato coinvolto dall’erede al trono, viste le asfittiche casse del regno che non permettevano certo un simile intervento.

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Bene. Nel frattempo il nostro Spyros, una volta che si era diffusa la notizia, venne fatto oggetto di tutta l’attenzione del suo villaggio e fu proprio una colletta tra gli abitanti di Maroussi che gli permise di avere un paio nuovo di zecca di scarpe adattissime a correre sul percorso che sarebbe risultato tutt’altro che agevole. I suoi sforzi si moltiplicarono di giorno in giorno ed il padre, conscio dell’importante ruolo che stava ricoprendo il figlio, volentierì si sobbarcò nuovamente l’intero lavoro. Non vi erano colline nei dintorni che Spyros non avesse corso e percorso più di una volta, con ogni tempo, incitato dalle grida dei compaesani e da chiunque lo incontrasse. Oramai tutti nei dintorni lo conoscevano così come il suo compagno ed avversario, Kharilaos Vassilakos, vincitore delle prove di qualificazione e onestamente dato come favorito. Non importava. Spyros si sentiva forte nelle gambe e nel cuore, sentiva forte l’affetto intorno a sé e gli incitamenti che riceveva, oltre a delle buone razioni di cibo, che forse, specie all’inizio, fecero più che non tante parole. Venne così il fatidico giorno ed iniziarono i primi Giochi Olimpici dell’era moderna. Era il 6 aprile 1896. La sua gara si sarebbe svolta dopo quattro giorni, il 10 aprile. Alle 2 del pomeriggio (ora che sarebbe stata possibile solo in inverno o primavera per il clima, anche se consona alle abitudini che vedono il pranzo svolgersi intorno alle 17) il colonnello Papadiamantopoulos, quello che aveva spinto Spyros a partecipare, dette il colpo di pistola che decretò l’inizio della corsa. Alla partenza sui 24 iscritti si presentarono soltanto in 17, avendo gli altri deciso che il percorso sarebbe per loro stato impossibile. Di questi 17 solamente 4 erano stranieri e fra di essi il francese Albin Lermusiaux, in realtà specialista di più corte distanze e il più temibile fra gli avversari, l’australiano Edwin Teddy Flack, ben preparato su tutti i tipi di terreno, complici i luoghi aspri in cui si allenava nel proprio paese. La gara partì e furono proprio gli stranieri ad imprimere un ritmo forsennato alla gara. Ma era una velletaria fuga perché stavano sottovalutando quel lungo e continuo saliscendi che è tipico delle colline greche, anche nei tratti vicino al mare, capaci con ripide salite o vertiginose discese, non solo di spezzare il ritmo, ma di stressarti la muscolatura al punto da procurarti i crampi più atroci e, di conseguenza, il ritiro. Spyros in realtà non si produsse in una partenza fulminea, un poco perché conosceva a fondo il percorso, un poco perché, conscio delle sue capacità e caratteristiche, sapeva che un iniziale sforzo eccessivo, l’avrebbe stremato. Si sistemò pertanto in mezzo al gruppo, lasciando che i più impetuosi di carattere dessero sfogo alla propria vitalità sicuro, in cuor suo, che sarebbero stati gli ultimi chilometri, per quanto corsi pressoché in pianura, a decretare il vincitore. Passò così la prima ora durante la quale la gara fece le sue prime illustri vittime. Il fondo stradale stesso, tutto in terra battuta o fine acciottolato, rendeva ancor più impegnativo ogni minimo dislivello per il superamento del quale le forze da impegnarsi risultavano superiori al previsto. Al tempo non erano allestiti posti di ristoro ma ognuno, liberamente, poteva certamente fermarsi per bere, riposarsi o mangiare addirittura.
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L’unica cosa vietata era farsi trasportare, con qualsiasi mezzo, cosa che ad esempio comportò la squalifica di uno dei pochi arrivati. Spyros giunto circa a metà percorso, presso la frazione di Pikermi, oggi inglobata nel comune di Rafina, decise di ristorarsi prima di affrontare la lunga volata fino al centro di Atene. Si fermo in una taverna dove, insieme ad un bicchiere di vino - tipica fra l’altro è proprio quella località per i vini che vi si producono - raccolse le informazioni sui suoi avversari, informazioni che lo davano al momento settimo con un certo non indifferente distacco. Ma, da lì a breve, sarebbe iniziata una lunga salita che avrebbe portato a guadagnare la sommità delle colline che sovrastavano la città e Spyros era sicuro che proprio in quel punto sarebbe avvenuta la selezione finale. Così fu. Ad uno ad uno i suoi avversari o abbandonarono o, quanto meno, ridussero drasticamente il proprio ritmo. Fu così che ad una decina di chilometri dal traguardo Spyros giunse in vista del francese che alfine al 32° chilometro venne superato. Rincuorato anche dal tifo che lungo il percorso si faceva più intenso e corroborante, sentendosi ancora quella forza che non è solamente di cuore e nervi, ma ancora potenza muscolare, proseguì la sua rimonta che lo portò in vista dell’australiano. Sembrava imprendibile ma avvertendo che tutto il paese era a sospingerlo, con l’urlo forte nelle orecchie che gli imponeva un ultimo, imperioso aumento di andatura, Spyros, riuscì ad affiancarlo e dopo un interminabile testa a testa fatto a denti stretti, lo superò, lasciandosi aperta la strada per lo stadio e per la possibile vittoria: mancavano solamente 3 chilometri all’arrivo. Nel frattempo lo stadio, dove si attendevano i partecipanti, gremito da ben più delle 80.000 persone che erano la sua capienza, riceveva l’ultimo bollettino, attraverso quella staffetta di ciclisti che di volta in volta inviavano notizie sull’andamento della corsa. E l’ultimo bollettino parlava di un australiano alla testa, inseguito, seppur da lontano, da un concorrente greco. Il silenzio nello stadio si fece totale. Un silenzio dove la disperazione degli ansiosi, si alternava al silenzio scaramantico di chi ancora sperava nel miracolo. Insomma ciascuno, a modo suo, aveva di che raccogliersi in una muta riflessione, ch’era spesso preghiera, talvolta sospiro di rassegnazione. Ma ecco che nel silenzio tombale di quella moltitudine si diffonde la voce: l’ultima staffetta porta la notizia che Spyros è entrato nella città solitario, al comando! L’urlo irrefrenabile della vittoria in un attimo riempie cuori e polmoni e lo stadio esplode in un boato che rimarrà nelle orecchie di quel popolo negli anni a venire. Eccolo, Spyros é là in fondo, il pubblico si alza, i cappelli si agitano in aria, il re ed il principe ereditario scendono dal loro palco e gli vanno incontro, lo accompagnano nell’ultimo glorioso giro dello stadio che compie, sospinto da quel boato di gioia che sembra sollevarlo leggero, fino al nastro del traguardo. Ha vinto! Ha vinto Spyros! Ha vinto la Grecia tutta! Tempo: 2 ore, 58 minuti e 10 secondi. Sette i minuti di vantaggio sul secondo, il favorito Vassilakos, terzo, a sorpresa, l’ungherese Gyula Kellner.

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La premiazione fu un momento di quelli in cui ogni nazione si raccoglie intorno al proprio eroe. Spyros ne era divenuto l’emblema, colui che aveva perpetuato dopo secoli bui le glorie dell’antichità, colui che aveva riconfermato al mondo che i giochi olimpici erano greci. Così racconterà, ricordando quel giorno: "Quell'ora fu qualcosa di incredibile e ancora oggi mi sembra un sogno... da tutte le parti mi lanciavano fiori e ramoscelli d'ulivo. Tutti urlavano il mio nome e lanciavano in aria i cappelli...". Tornò a Maroussi, circondato dai compaesani sul carretto trainato da un cavallo che il re gli fece come dono, con il quale, a breve, avrebbe continuato il suo lavoro. Oltre al regalo del re, come premio ufficiale ricevette la corona d’allora, tipica delle antiche premiazioni ed una coppa in argento fatta appositamente realizzare dall’ideatore della gara, Bréal. I doni sia dei suoi compaesani che di comunità greche residenti all’estero pare siano stati innumerevoli ma dove finisca la verità ed inizi il lungo fiume degli aneddoti e delle leggende non è dato saperlo. Così come è difficile oggi sapere nei particolari come andò in realtà la corsa, forse come ce la siamo immaginata o forse no. Spyros comunque divenne e restò per tutta la sua vita ed oggi ancora, simbolo dello spirito greco.

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Nel 1936 fu inviato alle olimpiadi di Berlino portando in dono un ramo di olivo da offrire all’ostico patron di quella edizione. Morì nel 1940 alle soglie della seconda guerra mondiale. Nel 2004 a Maroussi, in occasione dei recenti giochi olimpici è stato inaugurato uno stadio a suo nome, così come più di una statua è stata eretta in sua memoria. La sua coppa non è mai stata donata al comitato olimpico come spesso succede, né fa parte di alcun museo. Fino ad oggi era nelle mani della famiglia e nel cuore della Grecia. Spyros è ancora nella mente di questo popolo anche oggi che tutti ne ricordano, senza difficoltà, senza pensarci, il nome. Fu l’unica medaglia d’oro vinta dalla Grecia in quella edizione dei giochi, ma il suo valore era tale che al confronto, tutte le altre messe insieme sarebbero state poca cosa.

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La coppa che vinse Spyridon Louis andrà all’asta a Londra il prossimo 18 aprile. E’ stato suo nipote, Spyros anch’egli, a decidere questo, scegliendo (o trovandosi costretto) di alienare la famiglia di un simbolo che era vanto di una intera nazione, uno dei non tanti rimasti. Il museo olimpico di Atene sta tentando di trovare uno sponsor per provvedere all’acquisto. Spyros, quello di oggi, a domanda risponde che non è per colpa della crisi, almeno così dicono i giornali italiani, gli unici a riportare questa specifica notizia. Non sappiamo se ci fa piacere credergli o no. Dicono, sempre giornali, che lo fa per i suoi due figli, per il loro futuro …... La casa d’aste a Londra annuncia che la coppa sarà venduta intorno ai 200.000 euro. Tolta la commissione per la vendita e le tasse, una volta divisa la cifra per due, credo che quanto rimasto potrà provvedere ad un futuro molto, ma molto limitato nel tempo. E comunque non è certo questo il momento più favorevole se l'operazione fosse partita come un investimento. Forse le ragioni sono quelle che non si vuole ammettere pubblicamente. O che certa stampa si ostina a negare per dover di bandiera. Non sta comunque  a noi né indagare, né giudicare. Possiamo solo farcene, con il buon senso, un’idea. L’augurio è che in questo vorticoso tourbillon di miliardi che sta offuscando i cieli di Grecia, chi di dovere trovi di che destinare questa misera cifra affinché un pezzetto della memoria del paese non cada, ancora una volta, in mano diversa da quella che impone la storia.

Il vecchio Spyros, forse abituato a ben altro tenore di vita, a ben altro spirito di sacrificio, a ben altri valori, quando il poco diventava spesso assai o troppo, tanto che vi era anche lo spazio per la solidarietà, non so con che animo assisterà a tutto questo e forse, in fondo sarà là a domandarsi se sia o no valsa la pena di far quella sudata. Certo, da eletto a simbolo si sentirà oggi un condannato, a seguir la stessa sorte, non più salvatore dell’orgoglio di una nazione ma testimone della sua disfatta, costretto a vendere l’orgoglio più vero per tirare avanti, come se in fondo alla maratona stavolta, al contrario di Filippide, avesse annunciato l’avvenuta conquista del paese. 


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