Il primo dei due si intitola, appunto, Storia di una caduta (tit. or. Geschichte eines Untergangs), del 1912, e narra la storia di Madame de Prie, donna di corte della ricca e viziata aristocrazia francese del '700, caduta in disgrazia e relegata in una dimora di campagna, lontana dalla vita e da Parigi. Quest'erede lontana di Madame Bovary, esiliata dal suo sogno, con la mente sempre al piacere, ai suoi passatempi e soprattutto alla sua antica influenza, assiste al misero sfiorire del successo, tra un amante provinciale e viziatissimo e lettere nelle quali la donna legge il suo bisogno - non ricambiato - della corte. Non c'è più un'eco di lei tra quelle feste, quei saloni, quei broccati e, soprattutto, quelle voci. Madame de Prie prova tutto, perfino a vivere la vita così come viene, ma il suo pensiero va sempre lì, al desiderio di essere attesa, temuta magari chiacchierata, ma in qualche modo presente dove si accomoda il potere. La donna però non ha risposte dai suoi antichi amici e nemici, così si ingegna con una soluzione che le prende la mano e il corpo intero (e che mi richiama alla memoria, senza pietà, le stilettate ironiche di Alberto Savinio nei confronti del dolorismo di Eleonora Duse).
Perfetto l'abbinamento editoriale con il secondo racconto, Legittimo sospetto (tit. or. War er es?, pubblicato postumo tra le opere complete dell'autore). Anche qui c'è una caduta e un tentativo di riscatto, ma protagonista non ne è un essere umano, bensì un cane: Ponto, amato senza misura e senza ritegno dal suo padrone, Limpley. Esiliato, a suo avviso, senza ragione dall'affetto del suo padrone-servo, il mastino prima si deprime, poi alimenta l'odio covato nei confronti di quel nemico invisibile, eppure così potente, che gli impedisce di esercitare il suo potere. La storia, raccontata dalla vicina di casa dei Limpley, ha il ritmo e la struttura di un thriller e, sul piano sperimentale, è un piccolo gioiello "cinematografico": rapido, incalzante, misterioso e, soprattutto, in soggettiva.
Mi sembra, invece, che Storia di una caduta - forse non estraneo a spunti autobiografici - sia meno fresco, limpido e scorrevole; più dotto, sì, ma anche più apertamente costruito nella sua narrativa. Si ha il sentore di una composizione un po' schematica, si sente la bravura del primo della classe, non il tocco invasato del genio. L'abisso in cui sprofonda Madame de Prie non è l'incalzante evasione di Emma Bovary, né il Kaos contrapposto al Kosmos, non è il dionisiaco che sfida l'apollineo, come in Morte a Venezia di Thomas Mann (che è dello stesso 1912). È uno stato di malessere come un altro, pieno di vita e privo di ispirazione. Trovo che non ci sia nessuna grandiosità nella grettezza vanesia di questa donna e che il tentativo di fare, della sua vita, un'opera d'arte, attraverso un divismo tragico, fallisca nella propria miseria: il risultato è un racconto che, (chissà!) forse memore alla lontana anche del romanzo di Wilde, è didattico, ma non esemplare.