Storia di una casa (#17)

Da Snake788

- 17 -

La mattinata era finita ormai da qualche ora. Ero ancora assopito su un giaciglio formato da un lenzuolo e dal mio giubbotto di pelle. La sera prima non ebbi tempo ne voglia di disfare il mio trolley e di prepararmi un letto decente. Così, raggomitolato in un’indicibile posizione, cercavo il motivo giusto per uscire dai sogni e svegliarmi. Ero nella fase del riposo della semi-coscienza. Sapevo che fuori batteva il sole da un po’, ma volevo continuare a sognare. Ciò che non sapevo invece, era che il motivo per svegliarmi, stava per bussare alla mia porta, letteralmente.

Driiiiiin Driiiiin

Le palpebre scattarono in su come tende a molla, ma le pupille, non ancora abituate alla luce, intimarono la ritirata a mezz’asta. Il citofono suonava una fastidiosa melodia per i miei timpani. Chi poteva mai essere a quell’ora della m…
-   Le tre? Cavolo! Sono già le tre! –
Mi alzai per andare a rispondere. Dall’altro capo, mia madre, un po’ infastidita per la mia lentezza, mi chiese informazioni su come raggiungere l’appartamento. Mio padre non emise parola ma sentii la sua presenza nella voce di mia madre. Riagganciai con un velo di ansia e
mi guardai intorno come chi attende l’imminente arrivo di una persona importante e vorrebbe fare bella figura. Ma cosa avrei mai potuto mettere a posto in un appartamento vuoto? Guardai il mio trolley ancora bello e intatto. Sicuramente mia madre avrebbe richiamato la mia pigrizia se l’avesse visto ancora in quel perfetto stato. Così mi sbrigai ad aprirlo e a posizionare qualche vestito qua e là, in maniera disinvolta.
Sentendo l’ascensore arrivare, mi avvicinai quatto quatto alla porta. Sentii, dall’altro lato, mio padre borbottare qualcosa. Aprii.
-   Giovanotto! – disse mio padre.
-   Ciao amore – disse mia madre abbracciandomi.
Li feci entrare, aiutandoli a portare le valigie. Sembrava così strano esser io a far gli onori di casa.
Mentre mio padre era con lo sguardo per aria senza ancora proferire una parola, accompagnai mia madre nella cucina. Le mostrai la mobilia mentre imbottiva la mia mente di domande del tipo: c’è questo, c’è quello, riuscirai a far questo o quello. Ma, nonostante le domande e qualche critica, mi sembrò soddisfatta della scelta del mio alloggio. Poi prese a guardarmi con un sorriso velatamente malinconico. Quello che tutte le madri hanno avuto o avranno nel momento in cui i piccoli lasceranno il nido. Lasciai mia madre in cucina che, senza che me ne accorgessi, s’era già messa i guanti per darsi da fare.
Mio padre stava ultimando il suo giro d’ispezione davanti alla portafinestra del balcone. Osservava il cassone della tapparella con una strana aria incuriosita.
-   Papà… – dissi quasi sottovoce e lui si girò.
-   Quindi ti sei deciso… – mi disse con tono fermo.
-   Sì… voglio vivere qui. –
-   Ma è così lontano da casa… se avrai bisogno di qualche cosa come farai? –
-   Saprò cavarmela… lo sai che sono bravo. – e al termine della frase, mio padre fece un mezzo sorriso, si avvicinò e dandomi due colpetti sulla spalla disse:
- Allora? Dov’è che dormirai? –

Mezz’ora più tardi, dalla cucina proveniva un profumo di sugo e pastasciutta. Questo sì ch’è un odore familiare, pensai. Mia madre aveva già preso mano con i fornelli come una bravo camaleonte culinario. Gli uomini di casa invece, erano intenti a far passare un divano di due metri attraverso la porta della stanza da letto.
-   Papà non c’entra! –
-   Sì che c’entra spingi! –
-   Spingo, spingo! –
Portammo il divano nella camera e uno dei tre lettini nel salotto. Finalmente potei costruire la mia stanza per potermi adeguatamente ambientare. Così, le camere da letto diventarono due, una doppia e una singola, e il salotto perse la sua connotazione trasformandosi definitivamente nella mia camera. Mi sedetti sul letto mentre papà andò in cucina richiamato dall’odore della pasta. Guardai il piccolo televisore spento davanti a me. Pensai che quello sarebbe diventato il mio unico panorama di tutte le notti a seguire. La mia cameretta ben arredata nella casa natale era un piccolo rimpianto che mi sarei trascinato per giorni. Poteva quel luogo diventare accogliente come la mente lo immaginava? In quel momento non potevo saperlo, ma solo sperarlo…
-   Vieni Ciro! E’ pronto! – strillò mia madre.
E mi alzai sorridendo, pensando che quella voce stridula diverrà una delle cose che mi mancheranno di più…


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