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Qualche giorno dopo, la febbre passò. Avevo trascorso gran parte del tempo disteso sul letto a pensare. Volevo tirare le somme dei mesi passati lontano da casa ma non riuscivo a dare un voto positivo alla mia dipartita universitaria. I giorni passati in malattia mi avevano costretto a saltare parecchie ore di corsi e non sapevo se sarei riuscito a tornare di nuovo in pari con gli altri. Tutto sembrava così fragile ai miei occhi e di certo era solo la mia delusione. Ancora una volta, la salute cagionevole, mi stava dando problemi con l’andamento della vita. Già in passato soffrii di questo problema. Ero preoccupato che, pur mettendocela tutta, non sarei riuscito a dare gli esami come avrei voluto.
Mi alzai dal letto e trascinai i miei passi verso la porta; e nel momento in cui stavo attraversando l’atrio della casa, vidi entrare Francesco dal portone.
- Ciao! –
- Ciao… – rispose.
Entrò subito in camera. La maggior parte delle nostre conversazioni si limitavano a semplici saluti. Chissà se si è accorto che sono stato male questi giorni? Pensai.
La cucina era rimasta come l’avevo lasciata. Sembrava che Francesco non avesse toccato niente, oppure era stata la mia ragazza a pulire diligentemente ogni cosa, prima di andarsene.
Osservai l’insolito cielo scuro delle cinque del pomeriggio dalla portafinestra del balconcino della cucina. Riempii la teiera e la poggiai sul fornello ardente.
Misi in infusione la bustina di tè. Scelsi una delle tazze blu dalla credenza. Mi fermai un attimo a riflettere su quante mani e padroni avevano visto quelle tazze da tè. Tutte mostravano i segni del tempo e dell’usura: un’ammaccatura lungo il bordo, un graffio, una botta sulla ceramica… a qualcuna mancava il manico ed erano sempre quelle che restavano sul fondo del ripiano in attesa di essere scelte per ultime. Mi sedetti al tavolo con la tazza tra le mani. Il calore mi riscaldava le dita giacciate.
Mentre ero intento a contemplare il mio tè, sbucò dalla sua camera il mio coinquilino taciturno e con aria affranta si rivolse a me.
- Ciro… -
- Dimmi Francesco… – gli chiesi.
Prima di rispondere si sedette con estrema lentezza. Spostò la sedia come se fosse qualcosa di molto prezioso e, dopo essersi seduto, mi guardò negli occhi tirando un respiro profondo.
- Beh, vedi… non so se starò a Milano fino Settembre prossimo. –
Ecco, l’aveva detto. Si era tolto il peso dalla coscienza. Sembrava quasi sollevato. Aveva lanciato un masso nello stagno e ora attendeva le reazioni…
- … e quando andresti via? –
- Beh… molto probabilmente starò qui fino a Giugno… -
- Bene. – risposi abbassando lo sguardo sul tavolo.
E invece non andava affatto bene. Pensai
Tornai al mio tè mentre Francesco tornò nella sua stanza più velocemente di quando avessi preveduto. Il mio coinquilino aveva aggiunto un altro problema al mucchio. Perché non me l’ha detto prima?! Mi chiesi. Avrebbe potuto dirmelo all’inizio, almeno non avrei contato su di lui. Avrei cercato un’altra casa… Avrei cercato un’altra persona… Avrei… Avrei… Non avrei potuto far niente in realtà. Era il destino che si divertiva a torcere il fil di ferro che mi legava alla vita.
Quindi, mi toccava cercare un sostituto che affittasse la camera di Francesco, altrimenti tutto l’affitto della casa, ricadrebbe su di me.
Mio padre mi ucciderà… pensai rassegnato. Beh… è meglio che inizi a scavarmi la fossa…
Tutto a un tratto il telefono squillò. Guardai lo schermo come un professore che osserva il compito dell’ultimo della classe, certo di trovarci qualche errore; e come il professore pregiudizioso, cercavo l’ennesimo imprevisto della giornata, nascosto tra i caratteri di un messaggio.
“Ciro! Eravamo qui che ci chiedevamo se per caso il nostro amico milanese potrebbe…”