Magazine Diario personale

Storia di una casa (#28)

Da Snake788

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“…Ospitarci per un paio di giorni.”

Era passato quasi un mese da quel breve messaggio che i miei amici mi avevano inviato. Ne fui colpito, meravigliato, emozionato. Quei ragazzi volevano farmi capire che, seppur lontani fisicamente, c’erano ancora, e nulla era cambiato. Invece io mi sentivo tremendamente in colpa ad averli abbandonati, allontanandomi per andare dall’altra parte dell’Italia a studiare. Ripensai a come, in passato, faticosamente ero riuscito a farmi qualche amico ed entrare in un gruppo già avviato, nonostante il mio carattere molto introverso; per poi abbandonarli tutti, dopo una manciata di anni, come vecchi oggetti che non funzionano più, che non danno più soddisfazione; e corsi via zaino in spalle, dai nostri luoghi, dalle nostre vite, dalle nostre strade…
Per finire qui, al quinto piano di un palazzo a osservare la strada inondata di foglie autunnali.
“Chissà da dove vengono queste foglie?” pensai, visto che la zona verde più vicina era a più di un centinaio di metri. “L’autunno è una stagione così strana.” Non si riesce mai a capire che tempo ci sia e quindi vestirsi di conseguenza. Vedevo persone in strada alternarsi chi in cappotti con sciarpe e chi in felpe con tute. Chi avrebbe azzeccato l’abbigliamento adatto avremo potuto saperlo solo a fine giornata.

Uno squillo di cellulare interruppe i miei pensieri volti chiaramente alla perdita di tempo.
“Stiamo arrivando” diceva il messaggio e accrebbe la mia inguaribile ansia.

Tornai a guardare la strada in direzione dell’uscita della metro. Sbirciavo i visi delle persone, cercando di scorgere quelli dei miei amici. Aspettavo Enrico e Marco, e forse qualcun altro che, sicuramente, s’era aggiunto ai viaggiatori nonostante il mio diniego.
L’ansia ticchettava e iniziai a contare le persone che sbucavano nel mio campo visivo stradale, come fossero secondi di un timer: 1, 2, 3,… Ed ognuna di essa si sottoponeva involontariamente al mio scanner visivo, dotato di commenti pregiudizievoli: troppo alto, troppo magro, non si vestirebbe mai cosi…
Conoscevo cosi bene i miei amici da poterli descrivere ad occhi chiusi e sapere già in anticipo come si sarebbero vestiti.
Mentre il mio timer di persone scorreva al numero 36, intravidi una persona dalla fisionomia conosciuta. Anche i modi e soprattutto la capigliatura rasta coincidevano con le sembianze di Marco. Subito dopo di lui, come da conferma, al numero 37, riconobbi Enrico con uno strano cappello che portava con sé un enorme borsone. Sorrisi nel vederli e il mio cuore si riempì di gioia. Ero impaziente che arrivassero­ davanti al mio palazzo.
Quand’è che entrambi si fermarono e si voltarono indietro ad osservare chissà chi. Subito la gioia si trasformò in ardente curiosità e…
“No… non può essere!”
Appena qualche metro più in là, vidi avvicinarsi ad Enzo una ragazza dall’inconfondibile massa mammaria più volte oggetto delle mie attenzioni.
Aguzzai gli occhi: “Marta, la sorella di Marco… cosa ci fa qui?!”
Ma le soprese non erano finite. Si avvicinò un’altra figura femminile al gruppetto, che sfoggiava un’inconfondibile capigliatura dal taglio maschile.
“No… anche lei!”
Cristina era un’amica stretta di Marta e una delle ragazze del gruppo che non avrei mai immaginato venisse a trovarmi.
Continuavo a fissare imbambolato i miei amici sperando che alzassero gli occhi al cielo e vedessero la mia disapprovazione mista a felicità. Non fu così e seguii il loro cammino in strada fin sotto il mio balcone.

Suonò il citofono e corsi a rispondere
- Sì chi è? -
- Ciro! Apri siamo noi! -
- No! Non vi apro! Vi ho visto! Siete in troppi! -
Non attesi risposta, spinsi il bottone e il portone si aprì.

Storia di una casa (#28)


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