Ci ho pensato un po’ prima di scrivere questo articolo. Mi sono chiesta se davvero valeva la pena star qui a raccontare parte della mia vita per esplicitare ciò che penso. Evidentemente sì.
Sì, perchè la realtà pare continuamente mistificata, che sia da parte di politici o di persone che incontri per strada, dal misogino all’intellettuale di turno.
E sono stanca. Stanca di sentire gente che parla di aria fitta, che giudica senza sapere e aver vissuto in prima persona le dinamiche che ci portano ad essere quell* che siamo.
Così racconterò la mia storia. E spero sia il punto di partenza per molt* di voi, per condividere con noi le vostre storie.
Ho 27 anni. I miei genitori si sono separati quando avevo 4 anni e la situazione familiare ed economica che ho vissuto non è stata facile. Mia mamma faceva la baby sitter e mio papà era molto assente e iniziava a costruirsi una nuova famiglia.
Nonostante tutto sono riuscita a laurearmi a 23 anni, facendo lavori saltuari come hostess di eventi e animatrice-clown per feste di compleanno.
Mi sono laureata che ero incinta di 5 mesi. Il mio compagno era uno studente come me, figlio di un operaio e una maestra d’asilo. Si è rimboccato le maniche e mentro io terminavo la gravidanza ha finito gli studi, dando quindici esami in sei mesi.
Nato nostro figlio, il mio ragazzo ha iniziato a fare uno stage con rimborso spese e poco dopo ho cominicato a cercare lavoro anche io, ma ogni volta che dicevo di avere un bambino i toni dei colloqui cambiavano e tanti saluti. Perchè nascondere il mio stato di genitore? Questo mi chiedevo.
Mentre provavano a lasciare a casa il mio compagno dopo lo stage di sei mesi (ed effettivamente per due mesi ce lo hanno lasciato) io iniziavo a maturare l’idea di specializzarmi. Lui si è fatto in quattro per cominciare l’apprendistato nell’azienda dove aveva fatto lo stage, e io mi sono iscritta nuovamente in università.
Intanto ho continuato a cercare lavoro. Casualmente, l’unica volta che non ho detto di avere un figlio ho superato senza problemi tutti e tre i colloqui di selezione. Una volta dentro però ho capito l’intento dell’azienda: tenersi le stagiste per il massimo di 12 mesi consentito, con un indignificante rimborso spese, e poi mollarle a casa per prendersene di nuove. Non avevo nessuna intenzione di farmi prendere in giro e perdere tempo, non potevo certo permettermelo. Ho mollato e dopo un mese ho trovato posto in un centro fitness.
Ora sono al termine nei miei studi, fra pochi mesi prenderò la mia laurea magistrale in Formazione e Sviluppo delle Risorse Umane. A cosa servirà? Non lo so. Nel frattempo continuo a lavorare per 7 euro all’ora in una paletra, senza ferie, senza malattia, con un contratto di collaborazione che non mi permetterà di costruirmi un futuro. Senza grosse prestese.
Choosy? Radical chic? Chiamateci pure come volete, non abbiamo bisogno delle vostre definizioni per andare avanti. Continueremo a fare quello facciamo cercando solo di farvi capire quanto siate lontani dalla realtà per poterla giudicare.
Vittimismo? Tutt’altro. Consapevolezza.
Attendiamo le vostre storie!