1983.
I monsoni colpiscono duro in India, Nepal e Bangladesh. Per noi, abituati a precipitazioni intense distruttive solo quando c’è lo zampino dell’uomo, sono eventi difficili da comprendere. E come sempre, è la fotografia a correrci in aiuto e a mostrarci la tragedia con chiarezza.
E, incredibile a dirsi, lo fa con un sorriso.
Steve McCurry – che primeggia fra i miei fotografi di culto – è l’autore di uno scatto che farà epoca, copertina del National Geographic e vincitrice di quattro World Press Photo Awards. Vediamola subito, dai:
Questa foto ha almeno tre storie. La prima: per scattare questa immagine McCurry si è voluto immergere in quella melma in cui galleggiavano cadaveri di animali, liquami di ogni genere, povere masserizie. Lo ha fatto perché: “Se la gente è sommersa fino al collo devi essere dentro con loro, non c’è separazione, non puoi stare sulla sponda e guardare ma devi diventare parte della storia e abbracciarla fino in fondo”.
La seconda storia spiega il sorriso dell’uomo, intento a salvare la sua ultima risorsa dopo aver perso tutto. I compaesani, dopo aver notato il fotografo puntare l’obbiettivo su di lui, presero a prenderlo in giro, predicendo un futuro da star. E lui sorrise per i lazzi. Questo momento di leggerenza all’interno di una tragedia è un bell’insegnamento, credo.
La terza e ultima storia, quella del lieto fine: qualche mese dopo, all’uomo fu recapitata una macchina da cucire nuova fiammante. Mittente? La ditta produttrice, fortunato marchio inserito in una immagine icona del ventesimo secolo.
Alfonso d’Agostino