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Storia di una fotografia: la malvagità in uno sguardo

Creato il 29 aprile 2014 da Masedomani @ma_se_domani

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Nel febbraio del 1932, i rappresentanti di 60 governi si riuniscono a Ginevra per una conferenza dallo scopo talmente nobile da stupire ancor oggi: l’idea, senza dubbio figlia delle terribili carneficine della Prima Guerra Mondiale, è quella di stabilire un accordo per una sensibile diminuzione degli armamenti, sognando persino un disarmo universale.

Che si trattasse di una magnifica utopia lo dimostra il fatto che poco più di sette anni dopo il mondo sarebbe nuovamente precipitato in un conflitto di proporzioni maggiori ed esiti ancor più tragici.

La conferenza andò avanti, a fase alterne e con risultati mai totalmente condivisi, fino al 1936, anno in cui fu definitivamente sciolta; nel frattempo si erano persi per strada la Germania, che stava vivendo la follia nazionalsocialista e che si era ritirata dal congresso nel 1933, dopo il rifiuto francese di concedere alla nazione tedesca la parità degli armamenti. Ed è datata 1933 la foto di cui vi voglio parlare oggi.

Il teatro, come detto, è Ginevra, ed il fotografo è Alfred Eisenstaedt. Già, lo stesso celebratissimo autore della foto del bacio fra il marinaio e l’infermiera del 1945, oltre che di una serie quasi infinita di ritratti epocali. Nel 1933 Eisenstaedt era fotografo a tempo pieno da meno di cinque anni, e fu inviato a Ginevra per “coprire” i lavori della conferenza.

Tra i componenti della delegazione tedesca c’era Joseph Goebbels. Passato alla storia in quanto Ministro della Propaganda e promulgatore delle peggiori nefandezze in nome dell’arianizzazione di ogni aspetto della vita tedesca, Goebbels dimostra in quella occasione un volto franco ed aperto: non va dimenticato che nel 1933 la tragica parabola hitleriana era appena all’inizio, e la ricerca dell’approvazione internazionale ancora un obiettivo politico. Non sorprende quindi osservare una immagine del gerarca in atteggiamento rilassato e compiaciuto:

goebbels-1

Poi succede qualcosa, qualcosa che Eisenstaedt ricorda così:

“Seduto nel giardino dell’hotel, c’era il dottor Joseph Goebbels, ministro della Propaganda di Hitler, per un momento sorrideva con tutti, però appena mi vide smise. Dietro di lui c’erano il suo segretario privato e l’interprete. Qualcuno gli aveva detto che ero un fotografo ebreo. Cominciò a guardarmi con odio e mi fissò addosso lo sguardo. Io, fermamente, non abbassai il mio. Mi considerava un suo nemico? Sembrava che fosse così. Molto persone oggi mi chiedono come mi sono sentito quando ho dovuto fotografare questa gente. Ovviamente, non troppo bene, ma quando ho una macchina fotografica in mano non conosco la paura“.

Eisenstaedt scattò la sua foto.

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Lo sguardo di Goebbels, quel misto di freddezza mescolato con odio razziale e desiderio di annientamento, ed il coraggio di Eisenstaedt nel premere quel semplice pulsante che ferma il tempo e racconta una storia rendono questa fotografia una delle più grandi interpretazioni del concetto stesso di ritratto.

Alfonso d’Agostino


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