Curioso come a volte si finisca per diventare celebri per un fallimento più che per le imprese portate felicemente a compimento. E’ il caso di Ernest Henry Shackleton, esploratore britannico di grande successo, oggi sfortunatamente eclissato nella memoria dai più noti Scott ed Amundsen. Uno che sulla base delle numerose spedizioni già guidate viene scelto nel 1914 per intraprendere un nuovo viaggio antartico finanziato dal Regno Unito.
Partono in 28 con il tre alberi Endurance, che finirà per dare il nome alla spedizione e all’avventura che ne seguirà. E a bordo c’è anche Frank Hurley, fotografo australiano talmente rilevante nella storia artistica del suo paese di provenienza che nel recentissimo passato il governo di Sidney ha provveduto a digitalizzare e mettere online quasi 11.000 (undici-mila!) dei suo scatti.
La Endurance salpa il 9 agosto del 1914. Il piano di navigazione prevede l’attraversamento dell’Antartide partendo dal mare di Weddell, ed il successivo ricongiungimento con la gemella Aurora nell’altro lato del continente, nel mare di Ross. Non andrà esattamente così: il 19 gennaio 1915, quella che nell’immaginario collettivo è una semplice distesa quasi infinita di ghiacci di rivela una successione di crepacci e dirupi che intrappola la nave irrimediabilmente. Per più di nove mesi, con temperature che oscillano fra i -25 e i -40 gradi, l’equipaggio cerca di liberare lo scafo, frantumando il ghiaccio davanti alla nave ed assistendo impotente al suo ricostituirsi prima che l’Endurance riesca a rimettersi in viaggio. Il 24 ottobre la pressione del ghiaccio ha la meglio, e la nave comincia a spezzarsi. L’Endurance è perduta – si inabisserà definitivamente un mese dopo – e gli uomini dell’equipaggio sono a circa 500 km dall’avamposto umano più vicino. Una situazione disperata.
Può sembrare incredibile, ed in effetti lo è, ma nessuno dei partecipanti alla spedizione perderà la vita. Dopo essersi nutrici di foche e pinguini, alcuni dei marinai riusciranno a recuperare una scialuppa, percorreranno circa 1500 chilometri in pieno oceano e, dopo una serie di avventure degne di un kolossal cinematografico americano, riusciranno ad attivare i soccorsi e organizzare il salvataggio dei compagni. Per dare una idea della difficoltà della situazione, ricordiamo un evento di qualche anno fa, in cui durante le operazioni di soccorso a un gruppo di marines inglesi, nelle stesse condizioni furono distrutti due elicotteri. E si trattava del 2002, non del 1914…
Quello che mi ha colpito e commosso, però, è che fra il materiale recuperato dalla nave prima dell’affondamento e conservato con cura ed attenzione dall’equipaggio ci fossero le lastre fotografiche e tutto l’equipaggiamento di Hurley. E’ possibile che qualche marinaio se ne sia preoccupato nella volontà, in un momento tanto disperato, di lasciare una traccia ed un ricordo per chi ne avrebbe recuperato i resti in futuro. Forse un ultimo pensiero per le famiglie.
L’effetto è che le straordinarie immagini di quella spedizione e dei tre anni di stenti che ne seguirono, fortunatamente a lieto fine, sono oggi disponibili per tutti noi. E raccontano magnificamente due storie: quella dell’Endurance e quella della fotografia, capace di immortalare e far rivivere quotidianamente uomini ed eventi.