E’ l’ottobre del 1970, e la scena musicale internazionale sta per essere sconvolta dall’arrivo nei negozi del nuovo LP dei Pink Floyd, intitolato “Atom Heart Mother”.
La produzione di un album è, naturalmente, un processo creativo contraddistinto da diverse fasi, compresa la scelta di una copertina che riesca a emergere e a colpire immediatamente l’occhio nella successione di immagini che vengono proposte al cliente sugli scaffali.
Per la loro ultima fatica, i Pink Floyd chiesero al grafico e fotografo Storm Thorgerson qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato di trovare in un negozio di dischi. La proposta dell’artista britannico non fece esattamente saltellare di gioia i responsabili della casa discografica: per essere precisi, quando mostrò la copertina a un funzionario della EMI, questi proruppe in uno stentoreo “Sei pazzo?”. L’idea fu però trovata geniale dai Pink Floyd e approdò dunque nei negozi.
Ma come cavolo si componeva questa copertina che fece infartuare i discografici e gridare di giubilo i rockettari? Eccola qui:
Ispirato, come dichiarò successivamente, dalla carta da parati con le mucche di Andy Warhol, Thorgerson si recò in campagna a nord di Londra, immortalando alcuni mucche di gran pedigree: so che sarete entusiasti di sapere che quella ritratta è “Lulubelle III”, uno splendido esemplare di razza frisona.
Ora, immaginatevi la scena: un campagnolo britannico, felice possessore di una mandria di mucche, vede presentarsi quello che gli appare come un simil-artista (o uno scappato di casa), carico di reflex e obiettivi, che domanda se può scattare un ritratto alla sua frisona.
Con ogni probabilità, un sorriso sarcastico gli avrà solcato il viso. Avrà dato il suo assenso subito prima di andare al pub di paese per commentare con i vicini di fattoria l’incontro con quel cittadino mezzo matto, sfottendolo atrocemente fra un sorso di birra e l’altra.
Il luppolo gli sarà andato di traverso qualche mese dopo, quando Lulubelle III cominciò a comparire su tutti i giornali del globo e un tentativo di azione legale non andò a buon fine: il proprietario della mucca più famosa della storia del rock non poteva accampare alcun diritto.
La frisona immortalata da Thorgerson è entrata nell’immaginario collettivo: nel 1981 farà persino una comparsata al cinema, quando Bertolucci la inserisce in un frame di “La tragedia di un uomo ridicolo”, pellicola che valse a un meraviglioso Ugo Tognazzi la Palma d’Oro come miglior interprete maschile al Festival di Cannes.
Alfonso d’Agostino