“Non ti abbiamo contraddetto quando ti abbiamo sentito stridere che eri un gatto, perché ci lusinga che tu voglia essere come noi, ma sei diversa e ci piace che tu sia diversa”.
Ci sono favole che vengono solitamente proposte nelle scuole elementari e medie, e che incantano i bambini per la semplicità del loro linguaggio e per la poesia racchiusa fra le righe. Nascono così personaggi indelebili che entrano a far parte dell’immaginario collettivo, e che si caratterizzano per modi di dire, frasi onomatopeiche, prodezze svolte. Quelle stesse storie, è bello “riviverle” da grandi, perché si coglie quella morale che al bimbo sfugge. Quel significato recondito, che si cela dietro ad un testo in apparenza leggero.
A tal proposito, ho rivisitato “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” dello scrittore e sceneggiatore cileno – naturalizzato francese –Luis Sepúlveda. L’opera, dalla quale è stato tratto anche un film, è stata scritta nel 1996, e da allora sono state realizzate diverse edizioni. Per esempio, esiste una bella pubblicazione del 2010 di Salani, nella collana Istrici d’oro, tradotta da I. Carmignani ed illustrata da S. Maluzzani. In un racconto come questo, le illustrazioni sono fondamentali.
Si tratta di una storia tenera e toccante. E breve: si legge in un’ora, al massimo. È basata sull’amore, sulla lealtà di tenere fede alle promesse, e sulla comprensione di chi è diverso da noi. Quella “diversità” che fa troppo spesso paura, e che induce gli esseri umani a desistere nella conoscenza; a girarsi dall’altra parte e a non voler vedere. Senza contare, che pone l’accento sull’inquinamento e sulla disfatta che l’uomo sta perpetrando su questa nostra Terra.
La storia è ambientata ad Amburgo, dove una giovane gabbiana di nome Kengah, che sta tornando col suo stormo dalla migrazione, si dirige verso il golfo di Biscaglia. In mare c’è una grande abbondanza di aringhe, e i pennuti si tuffano per cibarsi. Kengah non recepisce il pericolo, captato invece dal capo-stormo, e rimane invischiata in una grossa macchia di petrolio.
Tale sostanza è tossica per gli uccelli. Le loro ali diventano pesanti, s’immobilizzano. Come fossero di pietra, non riescono più a spiccare il volo.
A fatica, Kengah riesce a pulirsi, anche se solo in parte, tuffandosi nell’acqua pulita e raggiunge la città di Amburgo. Qui atterra in malo modo sulla terrazza di una casa, in cui abita un grosso gatto nero di nome Zorba. Con le ultime energie rimaste, si fa promettere tre cose dal felino: di non mangiare l’uovo che sta per deporre; di avere cura del nascituro; di insegnare al piccolo a volare. E con estrema fatica, depone un uovo.
Mentre alle prime due richieste Zorba può provvedere da solo, la terza richiede una sinergia di gruppo. Per questo, dopo aver promesso alla gabbiana di eseguire le sue volontà, egli si reca al ristorante italiano del porto, in cui “risiedono” i gatti suoi amici. E chiede loro aiuto.
L’autore dà vita a personaggi accattivanti, che possiedono caratteristiche proprie. C’è Colonnello, che parla napoletano; Segretario che fa la parte del gregario. E soprattutto lui, Diderot, un gatto intellettuale che esclama sempre “Terribile! Terribile!”, il quale possiede un’Enciclopedia che sempre consulta. Una volta stabilito che le macchie di petrolio si tolgono con la benzina, il gruppetto torna dalla gabbiana. Ma ella è già morta.
Essi però trovano lì accanto l’uovo che è riuscita a deporre. Seguendo i dettami dell’Enciclopedia, Zorba si mette a covare l’uovo, dal quale presto nasce un grazioso pulcino femmina, chiamato Fortunata. Superate varie vicissitudini – un esercito di topi di fogna e due gatti randagi vorrebbero mangiarsi la gabbianella – Zorba riesce con l’aiuto dei compagni, fra cui Sopravento, un gatto di mare che sa il fatto suo, ad esaudire il desiderio più grande della giovane Fortunata: quello di volare.
Il legame fra la gabbianella e i gatti si rivela profondo, poiché va al di là della parentela e della specie. Esso è puro e disinteressato, come solo il vero affetto sa essere.
I tentativi per insegnarle a volare però si rivelano vani. Bisogna chiedere aiuto ad un umano, passando sopra a quel tabù, fortemente radicato, che vieta agli animali di interagire direttamente con gli uomini e dare così prova d’intelligenza.
Non un umano qualsiasi, però. Bisogna scegliere un poeta, colui che sia in grado di comprendere. Viene scelto il padrone della gatta “seduttrice” Bobulina, di cui lo stesso Sepúlveda è stato autore del doppiaggio italiano nel film “La gabbianella e il gatto” di Enzo d’Alò.
Il poeta spiegherà così ai gatti come entrare nel campanile di San Michele, dalla cui cima Fortunata salterà, imparando finalmente a volare.
Nonostante si ami profondamente qualcuno, bisogna comprendere quale sia il suo bene e, ad un certo punto, lasciarlo andare. La distanza non spegne il sentimento, anzi, colma vuoti che altrimenti risulterebbero indicibili. Segue le inclinazioni, e fa ricongiungere più forti di prima.
Spero che narrandovi questa storia, abbiate sognato un po’ anche voi. E soprattutto abbiate pensato, come me, che non è vero che le favole siano solo per i bambini.
Written by Cristina Biolcati