Quando si dice, il libro perfetto nelle mani perfette. Completo blu, caschetto nero, ha una delicatezza involontaria che è cosa rara. Piena estate (nel trenino che corre da Flaminio verso quella zona di Roma dove coabitano in pace esseri umani, autobus e pecore), il libro fa capolino da una tasca: il pollice sostiene il manico di una grande borsa professionale; il resto delle dita, invece, forma una rete che nasconde e stropiccia un po’ i caratteri del titolo.
Lettrice dagli occhiali senza montatura è in piedi, per metà appigliata a uno dei manici dell’autobus e per metà sospinta giù dal peso di quella borsa serissima. La supremazia della forza di gravità è invertita, come se Lettrice fosse fatta di elio e la borsa rassicurasse tutti noi, compagni di viaggio, preoccupati che possa volare via. Se solo mollasse la presa. Sembra tutto volto a destare la minore attenzione possibile e proprio per questo non la si può non notare. Si alza prima di Sacrofano, e nel titolo del suo libro c’è una parola chiave, che la dice lunga su quel modo inconfondibile di avvicinarsi alla porta d’uscita: con la disinvoltura dei gatti, pur senza gli stivali riesce a farsi spazio tra le persone e a farsi volere bene da altrettante, credo.
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