Spesso uno sguardo minimale aiuta. Non allargare gli orizzonti e stringere il cono visivo su un dettaglio, un particolare, una storia minore, non necessariamente è segno di pochezza o risparmio, ma può essere interpretato semplicemente come pura, astuta perspicacia. Quello della Storia poi è un terreno che di fertile ha lasciato ben poco e se andiamo a stringere sulla Seconda Guerra Mondiale, i Nazisti e gli Ebrei la situazione non può fare altro che peggiorare, quindi perché ostinarsi a voler coltivare ancora gli stessi frutti? Perché non cambiare seme o provare a cercare una prospettiva inedita, rovesciata? Già, perché non farlo? Probabilmente la risposta è contenuta in quelle solite mura di protezione, le stesse che "Storia di Una Ladra di Libri" anziché abbattere con bombardamenti pesanti preferisce abbracciare per trovare conforto, coccolandosi a volte, e perdendo tra esse tempo prezioso e attrazione. C'è tutto infatti nella pellicola diretta da Brian Percival, qualsiasi cosa possa entrare a far parte di una pellicola ambientata tra la fine degli anni trenta e la metà degli anni quaranta non se la lascia sfuggire, trascinandola a forza in una sceneggiatura che appesantisce sempre più, rimanendo a tratti persino indigesta. C'è l'abbandono di una bambina da parte di madre comunista in fuga, la morte del fratellino più piccolo, l'adozione di una figlia a una famiglia per bene costretta ad accettare il dominio di Hitler nel paese, il rifugiato clandestino, la brutalità dei tedeschi, l'infanzia rubata, l'amore, le bombe, la guerra. E infine i libri e la cultura. Già, solo infine però, solo in piccola parte, la migliore probabilmente, se non per sviluppo quantomeno per significato globale. Senza averne le minime possibilità Percival tenta quindi di mettere in piedi un kolossal memorabile, di comporre un tessuto narrativo in perenne estensione pur non avendo a disposizione la stoffa. Per farlo è disposto a minimizzare il titolo del suo lavoro, pensando meno alla ladra di libri e al suo bisogno di crescita e di salvezza e incoraggiando spazi forzati in cui a venir fuori, teoricamente, dovrebbe essere commozione e dolore, il più delle volte meccanizzati entrambi. Finisce per strabordare quindi la sua pellicola, con un atteggiamento che anziché liberarsi e alleggerirsi dai pesi scomodi è concentrato ad aggiungere e aggiungere, e quando non sono i fatti è la manciata di retorica, quella di seconda mano, che se non disturba comunque neppure stimola. Così facendo l'appoggio fermo di Geoffrey Rush sfuma in un personaggio utilizzato in maniera parziale e non ottimale, leggermente meglio invece va ad Emily Watson, che perlomeno si rende protagonista della scena migliore della scaletta, l'unica in cui è possibile udire un filo di cuore battere e pulsare davvero. Il troppo storpia, insomma, e "Storia di Una Ladra di Libri" ne è test verificato. Un drammone ripieno di migliaia di ingredienti, aggiunti ognuno senza alcun minimo di regolazione, una di quelle esperienze cinematografiche, per intenderci, dove i titoli di coda non sono solo la cosa più attesa ma funzionano anche da buon digestivo. Trailer:
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