Se consideriamo Storia di una ladra di libri diretto da Brian Percival, tratto dall’omonimo romanzo di Markus Zusak, la risposta è no. E questo perché non sceglie da che parte stare, se seguire l’ottica favolistica del libro o quella reale del buio periodo storico novecentesco.
In un primo momento Brian Percival media la realtà della Germania nazista con gli occhi della piccola Liesel, e la coniuga con un certo sguardo interiore fatto di cristallina innocenza. A più riprese, infatti, si ha l’impressione d’assistere ad una specie di favola ambientata nel Reich tedesco, permeata da un respiro ampio e leggero, privo della fitta nebbia del regime hitleriano. E’ lo sguardo di una bambina mentalmente pura, vergine, incontaminata. Sviluppata da Michael Petroni, sceneggiatore del fantasioso Le Cronache di Narnia – Il viaggio del veliero, è una scelta insolita e coraggiosa che saprebbe farsi apprezzare se non avesse il fiato corto. La storia dei due piccoli protagonisti, chiusa in vicoli e stracci alla Oliver Twist, vede l’irruzione inevitabile della Storia, e lì il film cerca di rientrare nei ranghi, tira la testa dentro, smarrisce tutta la sua originalità. Passo successivo, anch’esso quasi inevitabile, è lo sconfinamento in melensi toni eroici e siparietti melodrammatici, approssimati per eccesso in impossibili dichiarazioni d’amore tra un dodicenne moribondo e la sua piccola amica.
Un’ambivalenza che poi dilaga su più elementi del film. Dal lato fiabesco, gode di una sana enfasi poetica il tema della speranza cucito addosso ad una bambina che da analfabeta si fa “furfante” (come la definisce continuamente la madre) di letture. Ma sprofonda nella discontinuità della voce narrante della Morte che era robusto filo rosso del libro. La Morte, tintinnante e inquietante elemento fantastico, dava sostanza all’immaginazione del lettore, ma non a quella dello spettatore, per il quale suona come ridicola e sterile comparsa. Insomma, Storia di una ladra di libri è un film che tira un colpo al cerchio e uno alla botte, uno al cinema e uno alla letteratura, e nel varco che si apre disperde tutto il buono che ha.
Credibile l’angelica e giovanissima Sophie Nélisse. Come sempre notevole Geoffrey Rush, che dà spessore ad un’opera che altrimenti sarebbe una televisiva produzione Rai per il Giorno della Memoria.
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