E mi sentirò tremendamente, molto tremendamente, in colpa.
Ribelle una volta era una lumaca come tutte le altre, come le altre viveva nel prato chiamato Paese del Dente di Leone, dove c'era un calicanto e tanti, buonissimi, denti di leone. Le lumache da sempre stavano lì, non avevano visto altri posti, ma di quello erano orgogliose, a loro sembrava che andasse bene, che fosse perfetto. Così lentamente, molto lentamente, continuavano la loro vita, facendo attenzione ai bruchi, agli scarabei, ma soprattutto agli umani, sempre così frettolosi e distratti da non preoccuparsi delle piccolezze che potevano ritrovarsi sotto ai piedi. Conducevano un'esistenza normale e tra loro si chiamavano semplicemente "lumaca". Le vecchie lumache erano abituate così e non ci trovavano nessun problema. Eppure una giovane lumaca (colei che sarebbe poi diventata Ribelle) non era felice: avrebbe voluto un nome e avrebbe voluto anche capire il motivo della sua lentezza. Le altre la prendevano in giro, ma lei era testarda e voleva sciogliere i suoi dubbi, così un giorno decise di andare via. Lentamente, molto lentamente si allontanò dal Paese del Dente di Leone, promettendo che sarebbe tornata solo quando avrebbe avuto un nome e quando avrebbe capito il perché della loro lentezza.
A darle il nome fu Memoria, una tartaruga abbandonata dagli umani, che tenne la lumaca sul suo carapace per un piccolo tratto di strada. Alla lumaca, che da lì a poco tempo sarebbe stata battezzata Ribelle, non sembrava vero di andare così velocemente. Altro che lei, Memoria non era affatto lenta!
Insieme arrivarono fino al bordo di una striscia scura.
Dall'altra parte della striscia scura si vedevano degli esseri umani, alcuni impegnati a mettere una sopra l’altra quelle che alla lumaca parvero pietre. Stupita, Ribelle sussurrò che gli umani erano operosi come le api quando costruiscono un favo e la tartaruga, cercando le parole nel pozzo dei ricordi, le spiegò che quegli umani stavano costruendo case in cui sarebbero vissuti altri umani, adulti e cuccioli, che sarebbero arrivati trasportando le loro cose su grandi animali dalle zampe circolari, forti, veloci e spinti da cuori di metallo.Ah, questi umani. Stavano trasformando il prato in una striscia scura, perché loro non erano come le lumache: non volevano andare a piedi ed essere lenti, no, avevano bisogno dei loro animali di metallo per essere più veloci e per questo coprivano il prato con quell'asfalto. Tutte le compagne di Ribelle erano in pericolo e lei decise di tornare indietro per avvisarle. Lentamente, molto lentamente provò a farlo.
Questa è l'ultima storia che mi ha tenuto compagnia in questo 2013, mi sembra anche giusto tutto sommato. In fondo quest'anno è stato davvero molto, molto lento per me. Avrei voluto spingerlo più in fretta in tante occasioni, l'ho detestato. Ho detestato la sua lentezza, il fatto che quel numero fosse sempre lì, a ricordarmi quanto di brutto fosse successo in questi lenti dodici mesi.
Eppure lentamente, molto lentamente il 2013 sta finendo. Una manciata di ore e quella cifra cambierà lasciando il posto a un nuovo anno tutto ancora da inventare, sempre con un po' di calma, mi auguro. Oh, io sono una persona molto lenta, spreco tempo per pensare, mettere a fuoco le situazioni, decidere da che parte andare, quindi ben venga un nuovo anno che non mi trascini nel vortice frettoloso di questi umani che non hanno tempo per fare niente di bello. Solo che vorrei essere io a rallentare gli eventi, non vorrei che fossero gli eventi a rallentare me, come è successo in questo 2013 e anche negli anni passati. Tutto qui.
Perciò auguro a tutti quanti un nuovo anno più felice e più lento. Un anno che lasci il tempo per spegnere gli animali dalle zampe circolari, veloci, coi cuori di metallo. Un anno che faccia respirare. Un anno che lasci il tempo per accorgersi delle piccole cose belle che magari sono sempre state lì, senza che le vedessimo. Un anno più intimo e semplice, forse meno tecnologico, ma con più emozioni. Un anno di televisioni spente, di profumi genuini e neve fresca e intatta da tracciare per primi, un anno di libri belli, di sorrisi, di abbracci. Un anno come ce lo meritiamo.
Un anno in cui lentamente, molto lentamente ci risvegliamo dal letargo e scopriamo con un sorriso che il nostro Paese del Dente di Leone, che così tanto avevamo cercato altrove, era semplicemente dentro di noi.
«In questo viaggio che è iniziato quando ho voluto avere un nome ho imparato tante cose. Ho imparato l’importanza della lentezza e, adesso, ho imparato che il Paese del Dente di Leone, a forza di desiderarlo, era dentro di noi»