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Storia di una violenza psicologica: come sono uscita da un incubo

Da Bambolediavole @BamboleDiavole
Storia di una violenza psicologica: come sono uscita da un incubo

Non tutti i tipi di violenza lasciano segni, alcune ti annientano l'anima distruggendoti lentamente. Sto parlando di violenza psicologica della quale spesso si è vittime inconsapevoli.

Cos'è la violenza psicologica?

Un clima di disapprovazione continua dove qualsiasi atteggiamento o comportamento viene ritenuto sbagliato, inadatto. E questo non è tanto perché, come chi perpetra violenza psicologica vorrebbe far credere, è un comportamento ad essere preso di mira, ma è invece presa di mira la persona in quanto tale, in ogni cosa che fa ed in cui manifesti la propria individualità e la propria identità. Non a caso la violenza psicologica, silenziosa ed invisibile ma non per questo meno devastante di quella fisica, viene esercitata sulle donne per lo più in famiglia o nella coppia, da un padre, un marito o un fidanzato che, in questo modo, ribadisce il proprio dominio e la propria superiorità.

Parole, gesti, toni allusivi, offese velate o esplicite che possono umiliare, distruggere lentamente ma in profondità, senza sporcarsi le mani.

Nella coppia la violenza psicologica è spesso negata e banalizzata. Si tende troppo spesso a considerare la donna complice dell'aggressore perché non riesce, non sa o non vuole ribellarsi, ma questo è esattamente il risultato della violenza esercitata. La vittima di violenza psicologica è paralizzata, confusa, sente il dolore, la sofferenza emotiva, ma non riconosce l'aggressione subita. E la cosa più terribile è proprio quando questo atteggiamento viene attuato da una persona cara, che si ama o si è amata profondamente e verso la quale ci si è aperti e con fiducia.

La violenza psicologica è un processo di distruzione costituito da manovre ostili che possono essere esplicite o nascoste. La svalutazione di tutto ciò che una persona fa o pensa, a cui è interessata o in cui crede. Oppure la limitazione della libertà di movimento, come impedire alla donna di uscire da sola magari adducendo motivi circa la pericolosità dei luoghi, degli orari, o trasformando la rinuncia come prova d'amore o di fedeltà.

O ancora la limitazione della libertà economica, mettendo la persona in condizione di dover chiedere per far fronte ad ogni esigenza personale e famigliare.

Ma possono essere anche manovre più nascoste come il sarcasmo, la derisione continua, il disprezzo, espresso anche in pubblico con nomignoli o appellativi offensivi, mettendo costantemente in dubbio la capacità di giudizio o di decisione.

Tutto questo protratto nel tempo fino a destabilizzare una persona e distruggerla senza che chi le sta intorno se ne accorga e possa quindi intervenire. [...]

Il problema relativo alla violenza psicologica, infatti, è relativo al riconoscimento di essa, alla consapevolezza di esservi sottoposti.

La difficoltà per molte donne è legata al dover ammettere a se stesse di amare o aver amato qualcuno da cui, invece, ci si deve difendere; al dover abbandonare l'ideale di amore romantico per cui il fidanzato o il marito che offende o denigra, con il nostro amore, cambierà. Occorre rinunciare all'ideale di tolleranza femminile e spesso, molto spesso, è difficile arrivare da sole e senza aiuto a riconoscere di essere state sottoposte ad aggressioni psicologiche. Occorre chiedere aiuto, occorre essere aiutati da esperti.

Vi propongo di seguito la storia di una nostra lettrice, arrivata qualche giorno fa per email, relativa a questo argomento e che mi ha spinto ad affrontare questo tema molto importante:

Spesso quando si parla di donne maltrattate dal proprio compagno, marito o fidanzato viene spontaneo dire: " Perché non lo ha lasciato? Perché non è andata via? Perché ha sopportato?"

Chi pensa queste cose non lo biasimo, anche io prima di trovarmi nella situazione che sto per raccontarvi mi sono sempre detta: " se mi urla contro o mi alza le mani addosso lo pianto in asso e vado via subito! ".

Sono passati 5 anni da quando ho avuto la forza di decidere di amare me stessa e dire addio ad una persona che amavo follemente ed è stata una delle cose più difficili che abbia mai potuto fare.

Ci conoscemmo durante il periodo universitario, lui era prossimo alla laurea, io più piccola frequentavo il secondo anno. Fu amore a prima vista, travolgente e passionale. Lui era dolce, premuroso e molto affettuoso durante i primi periodi di frequentazione.

Fiori, cene a lume di candela, dolci parole sospirate nel buio della notte, promesse di una vita insieme.

I problemi iniziarono a sorgere dopo un periodo nel quale fummo costretti a stare lontani per motivi di studio. Quello che amabilmente definivo " principe azzurro" cambiò radicalmente mostrandomi la sua indole violenta. Niente più rose rosse ma solo male parole e sproloqui nel momento in cui non mi comportavo in base ai suoi dettami e non facevo quello che lui riteneva corretto. Non potevo avere amici e amiche, ogni volta che uscivo con loro mi ritrovavo litigata con lui e il 99% delle volte i nostri litigi finivano con lui che mi sbraitava contro, chiudeva tutti i telefoni sentenziando la fine della nostra relazione. Puntualmente però dopo qualche giorno ritornavamo insieme e io ero felice di averlo riconquistato anche se lentamente stavo distruggendo me stessa assoggettandomi a lui, cercando (anche se con difficoltà) di fare quello che (secondo lui) era "giusto" per me, per noi.

Ogni volta che mi gridava contro, ogni volta che mi strattonava, ogni volta che mi offendeva , ogni volta che mi lasciava perché non rispecchiavo i suoi canoni intellettuali colpevolizzavo me stessa e il senso di inadeguatezza che mi aveva fatto nascere dentro era destavate. Io, per lui, non ero all'altezza. Lui voleva la ragazza perfetta -ovviamente in base alle sue aspettative- e io non lo ero. Ero solo un bel trofeo da mostrare ai suoi amici. Ero il suo oggetto, la sua bambola, la ragazza completamente innamorata di lui che si faceva calpestare come uno straccio sporco.

Con il tempo mi sono resa conto che la cosa più grave che feci fu il giustificare sempre tutto, mi ripetevo per auto convincermi " è un periodo, passerà" e non c'è nulla di più sbagliato che qualcun* possa fare in una situazione simile. La persona violenta non cambierà mai se la sua indole è quella.

Era nervoso e insoddisfatto per via del lavoro, guadagnava bene per essere un neo-laureato, ma voleva di più. Voleva andare via dal nostro paese, voleva vedere la sua carriera decollare. Iniziò a mandare curriculum, senza curarsi di dirmi nulla e quando lo scoprì non l'ostacolai, volevo solo vederlo star bene. Lui invece scatenava la sua rabbia causata dalle non risposte su di me sempre di più.

Io nel frattempo ero diventata una pezza, mi ero allontanata da tutti i miei amici, piangevo sempre,avevo continui attacchi di panico che addebitavo erroneamente all'ansia dovuta dagli ultimi esami universitari e mi dedicavo completamente a lui nel vano tentativo di essere apprezzata e di avere la sua approvazione. Brillavo di luce riflessa e abbandonai tutti i miei amici e tutti i miei hobby, secondo lui facevo cose inutili e anche io mi ero convinta di ciò a furia di sentirlo ripetere e di litigare per il fatto che andavo in palestra. Non so perché lo feci, all'epoca ritenevo che assecondarlo in attesa che il periodo di nervi passasse, fosse la cosa migliore da fare per salvare e salvaguardare il nostro rapporto.

Lui si arrabbiava sempre con me, ero io la colpevole di tutto, mi aveva fatto convincere di ciò.

Le cose degenerarono nel momento in cui trovò lavoro fuori, lui accettò e così mi ritrovai sola nel giro di una settimana e ad un passo dalla mia laurea. Mi sentivo completamente spaesata e sola, lui andò via da un giorno all'altro proponendomi di seguirlo a patto di abbandonare i miei studi,la mia famiglia, di sposarlo e dedicarmi completamente al nostro futuro, secondo lui erano queste le cose giuste da fare e io avrei dovuto obbedire riconoscente di quello che mi stava offrendo. " Tanto basta che lavoro io"- ripeteva sempre- " Come fai ad avere dei figli se vuoi fare carriera anche tu? Devi abbandonare questa strada". Fu lì che suonarono i primi campanelli d'allarme e che iniziai a dubitare della nostra storia. Come potevo buttare i sacrifici dei miei genitori non concludendo i miei studi? Come potevo accettare l'idea di non avere un lavoro che potesse rendermi indipendente da lui? Ma soprattutto, come potevo mettere da parte le mie aspettative e i miei sogni di realizzazione personale? NO, non potevo!

Trovarmi in una città nuova, sola, lontana da tutti con lui che sapeva garantirmi solo instabilità e urla. Fu così che forte del fatto di non doverlo guardare negli occhi nel momento in cui mi urlava contro, presi un po' di coraggio e iniziai a non farmi andare giù le cose che mi obbligava.

Sola e con la promessa di un matrimonio imminente continuavamo a litigare furiosamente , non riusciva ad accettare che il suo burattino stava iniziando a staccare i fili e tutta la situazione era ingigantita dalla distanza che intercorreva fra di noi. Un giorno litigammo ferocemente a causa della scoperta di alcune mail contenti foto che si scambiava con ragazze conosciute in chat. Ovviamente era come sempre colpa mia che avevo frainteso il tutto: " che male c'era a scambiare foto con donne distanti chilometri? " peccato che queste erano leggermente poco vestite!

Iniziai a stufarmi sempre di più di lui, delle sue grida e soprattutto di quello che ero diventata io: un tappeto vecchio e calpestato, una piagnona che aveva perso il sonno e che saltava dalla sedia verso il balcone ogni qualvolta sentiva il rumore di una moto speranzosa che fosse la sua venuto a sorpresa per fare pace.

Trovai la forza di ritornare ad essere la donna forte che ero sempre stata prima di conoscerlo, decisi di non richiamarlo dopo l'ennesimo telefono sbattuto in faccia e questa volta fu lui che dopo due giorni mi chiamò, inizialmente irritato per non essermi fatta sentire. Purtroppo come al solito ci ricascai e mi sentii in colpa nel momento in cui si dichiarò dispiaciuto,non riuscivo a resistere al suo dispiacere causato ovviamente da me, ma ormai la macchina dell' amor proprio si era messa in moto.

Volevo disperatamente allontanarmi da lui, ma la condizione psicologica della quale ero vittima non mi faceva smettere di desiderarlo. Non potevo perderlo. Un giorno scoprii, per mia fortuna, particolari che non mi aveva raccontato della sua nuova vita e che mi convinsero finalmente a metterci un punto.

Quelle sensazioni di vuoto che mi attanagliavano il cuore e l'anima, dovevano abbandonarmi. Me lo ero imposto. Una storia fatta di bugie, pianti, male parole e strattoni dove io ero succube e pronta ad addossarmi tutte le colpe anche quando non ne avevo, non poteva andare avanti.

La nostra storia finì con un telefonata, gli urlai disperata ed esasperata " Non ce la faccio più a stare così, per me è finita ". Lui rideva di gusto e io riagganciai decisa. Fu in quel momento che mi sentii libera. Non ero mai riuscita a pronunciare parole del genere, era sempre lui che minacciava il nostro rapporto con frasi così. Mi sentivo forte, stavo bene!

Mi chiese di vederci dopo un mese circa, rifiutai. Qualche suo amico cercò di contattarmi per fare da tramite ma riuscii ad essere distaccata e fredda rifiutando ogni tentativo di riappacificazione con lui.

Gli attacchi di panico passarono, ritornai a sorridere e a non avere l'incubo del telefono che squillava.

La mia fu una storia durata due anni, anni nei quali mi ero completamente persa. Imparai, a mie spese, ad amare me stessa e a non giustificare più comportamenti violenti da parte di nessuno.

Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a cadere in una situazione simile e nonostante sia passato tanto tempo non riesco a darmi una spiegazione. So solo che a distanza di anni questa storia mi ha cambiato profondamente. Attualmente mi sono laureata, lavoricchio nell'attesa di un lavoro più idoneo alle mie competenze. Ho un sacco di amici che mi vogliono bene e che non abbandonerò di nuovo.

Lui, nonostante sia fidanzato, ogni tanto ricompare per sapere della mia vita, ma tutto quello che trova è una porta sigillata della quale ho buttato la chiave.

Inoltre un po' di tempo fa ho avuto la sfortuna di incontrare una persona che poteva essere un suo degno sostituto, ma mi sono bastate tre uscite per capire come era realmente e per metterlo alla porta e dirgli che avevamo modi di pensare e vivere le cose in modo diverso, la storiella della donna che deve stare a casa a cucinare e a badare alla prole non potevo tollerarla nuovamente.

Amare me stessa è diventato il mio mantra.

Io ho scelto me stessa.

Una persona violenta non cambierà mai, non pensate di farla diventare diversa, LASCIATELA! Non giustificate atti di violenza, non diventate succubi di chi vi fa sentire inferiore! Non fatevi incatenare dai sensi di colpa.

Perciò la prossima volta che sentite la storia di una donna vittima di violenza (fisica ma soprattutto psicologica) da parte del proprio compagno, non dite: " ma perché non lo ha lasciato", fareste un enorme sbaglio!


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