Storia nera d’Italia: si scrive stabilità, si legge sudditanza

Creato il 24 novembre 2013 da Albertocapece

Molta gente festeggiava la sera in cui Berlusconi gettò la spugna e uscì dimissionario dal Quirinale: sembrava ormai più difficile liberarsi del tycoon che dal malocchio, tanto più che lo stesso presidente della agonizzante Repubblica, esattamente un anno prima, aveva salvato il Cavaliere dalla guerra con Fini concedendogli tutto il tempo di comprare i deputati necessari ad avere la maggioranza. Ma la liberazione durò giusto il tempo di una notte perché si capì subito che si trattava di una vittoria mutilata: non si andava alle elezioni, come sarebbe stato normale e doveroso, ma si sarebbe insediato un  governo tecnico con il professor Monti, cocchino di tutti i circoli reazionari della finanza.

Per quanto mi riguarda dissi subito che forse si era caduti dalla padella nella brace, conoscendo le imprese e la vacuità dello stimato presidente della Bocconi, il primo nipote della serie anche se in questo caso di Raffaele Mattioli il più importante banchiere italiano dagli anni Trenta ai Sessanta. Ma in ogni caso rimaneva l’enigma di un cambiamento così repentino in un sistema politico che sembrava imperniato sul cavaliere di cui si contestavano gli atteggiamenti personali e le bugie, ma non la sostanza politica e men che meno i conflitti di interesse. C’era lo spread è vero che saliva all’impazzata, ma non c’erano nemmeno delle ragioni  specifiche perché questo avesse preso a salire da fine agosto del 2011.

Hans Werner Sinn

Invece le ragioni c’erano e le ha rivelate a Berlino, nel corso di un convegno organizzato dalla Suddeutche Zeitung, un giornale di centro destra, vicino alla Csu bavarese,  Hans Werner Sinn, capo dell’ Ifo, l’istituto che misura la fiducia delle industrie tedesche, oltre che autorevole componente dell’ordoliberismo. E consistono nel fatto che dopo la famosa lettera di Draghi e Trichet, Berlusconi si rese conto che seguire quelle indicazioni le quali implicavano, oltre al massacro del welfare verso il quale era amabilmente disposto, anche un aumento stellare delle tassazioni e una revisione dell’armistizio fiscale, avrebbe significato la sua morte politica.

Così cominciò a fare resistenza e lo spread che non è in mano a un fantomatico mercato, ma alle grandi banche speculative, cominciò a levitare. Poi si mise in testa di giocare un bluff  e come riferisce Sinn  “Berlusconi, nell’autunno del 2011, avviò trattative per far uscire l’Italia dall’euro”. E fu allora che venne decisa la sua giubilazione. La cosa è indirettamente confermata anche da Bini Smaghi ex banchiere della Bce che sostenne: “La minaccia di uscita dall’euro non sembra una strategia negoziale vantaggiosa. Non è un caso che le dimissioni di Berlusconi siano avvenute dopo che l’ipotesi di uscita dall’euro era stata ventilata in colloqui privati con i governi di altri Paesi”.

In realtà la minaccia era la mossa giusta da fare, ma si scontrava con il degrado dell’ambiente politico e lo sfascio italiano che lo stesso Berlusconi aveva provocato nei suoi lunghi anni di potere: un ensemble di persone con poche idee, qualche feticcio, molti scheletri nell’armadio e disposta ad ogni compromesso, una classe dirigente incapace e tremebonda verso i forti così com’è tracotante con i deboli, un Paese che non sapeva che pesci pigliare. E che naturalmente non era in grado di reggere il bluff e tanto meno di  prendere atto del disastro a cui andava incontro ubbidendo ciecamente all’Europa dei banchieri e dei Paesi forti. Lo stesso Sinn infatti un anno dopo l’ottobre 2011 in cui venne organizzato lo scarico di Silvio e l’ingresso sistematico di “tutori” imposti in via diretta come Monti o attraverso il tradimento dell’elettorato come Letta,  doveva riconoscere:   “Alcuni paesi sono diventati così costosi sotto l’euro, che è impossibile per loro essere competitivi in euro” arrivando a ipotizzare “un meccanismo sistematico per consentire una deviazione temporanea dei paesi in crisi nell’area della moneta unica”.

Una cosa è certa l’inconsistenza si paga e non è un caso che tutto questo esca fuori dalle pagine del quotidiano di famiglia del Cavaliere (però il vostro cronista ha controllato sulla Suddeutsche e su altri quotidiani tedeschi) e praticamente ignorato dagli altri media impegnati nell’analisi etologica di Dudù e il suo padrone, in vista dell’imminente voto sulla decadenza da senatore: Berlusconi ora ricatta l’intero continente, facendo chiaramente capire che se venisse salvato se ne starebbe buono a fare la sua parte nel “teatrino della politica”, viceversa scatenerebbe Forza Italia, seconda edizione, proprio sui temi europei e della moneta unica che solo la pseudo sinistra piddina, guidata alla cieca da Napolitano, si rifiuta di considerare, nelle sue forme attuali, la radice del disastro. E si può tranquillamente prevedere che vincerà a mani basse. Poi naturalmente non farà nulla, perché Berlusconi ha solo il potere mediatico, ma è lontano le mille miglia dalle capacità di uno statista in grado di imporre un cambiamento all’Europa della Merkel.  Anzi ci si potrà attendere solo conseguenze funeste. Ma intanto vivremo l’assurdo di un partito di destra, totalmente d’accordo col mercatismo e il liberismo selvaggio che fa campagna contro gli strumenti che stanno consentendo di ridurre la democrazia nel continente e un partito di labile centrosinistra proteso invece a difendere a tutti i costi il machete con cui si realizzano i massacri sociali.

Lo stesso Letta si è reso conto che il piccolo cabotaggio generato dal vento delle bugie sulla luce in fondo al tunnel, è in grave pericolo e prova pateticamente a fare la voce grossa contro i suoi sponsor di Bruxelles facendo però proprie tutte le filosofie e condizioni imposte. E cercando di far passare la sudditanza come un sinonimo di stabilità. Ma sa bene che con questa dialettica a risultato zero può infinocchiare un congresso di partito non un elettorato e un Paese in subbuglio. E ci scommetto che lavorerà duramente per tentare di salvare Silvio e salvare così anche se stesso.


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