Montecassino. Undici chilometri all’arrivo e l’asfalto viscido per quella pioggerellina costante che insapona le strade. Una rotonda, una caduta, ciclisti a terra. Tra loro, tra i tanti, c’è anche Diego Rosa. Quando si rialza per rimettersi in bicicletta ha un buco sul ginocchio che sembra una voragine.
Ci sono storie che vanno avanti in silenzio, anche quando il dolore, un po’ fisico e un po’ morale, vorrebbe urlare fino a rimanere senza voce.
Dopo aver sopportato la decina di chilometri che lo separavano dal traguardo di Montecassino, a Diego hanno messo tre punti di sutura e sembrava che tutto, bene o male, potesse funzionare. Sabato, sulla salita del Carpegna, è rimasto sulla ruota di Domenico Pozzovivo senza pensare a quel ginocchio che, per quello che aveva passato, non si lamentava troppo. Dopo la tappa, invece, la ferita comincia a fare male, a far male davvero. In clinica gli dicono che si è infiammata fino all’osso, fino alla tibia. Gliela puliscono, la disinfettano, gli danno degli antibiotici. Ma il dolore si fa sempre più intenso, gli toglie il sonno. Riesce ad addormentarsi solo alle cinque del mattino. Quasi l’alba. L’alba di un giorno in cui dovrà pedalare per centosettantadue chilometri per raggiungere l’arrivo di Sestola, GPM di seconda categoria.
Quando Diego si sveglia dopo poche ore di sonno, il ginocchio è gonfio e non riesce nemmeno a camminare per quei pochi metri che separano il letto dal bagno. Il medico gli dà degli antidolorifici: deve almeno provare a rimettersi in piedi, a tutti i costi. E’ dalla Coppi e Bartali che Diego sta correndo senza sosta per prepararsi al Giro d’Italia. E’ l’appuntamento che aspetta da tanto tempo e nei prossimi giorni c’è anche una tappa nella sua terra. I suoi lo aspettano. Non può fermarsi adesso, non può andare tutto in fumo per una caduta.
Alle dodici e quaranta è in mezzo al gruppo, pronto alla partenza e sotto il sole di Lugo gli antidolorifici gli danno una leggera febbre, uno stato di spossatezza che gli fa sentire sulle spalle tutto il peso della giornata che lo attende.
I primi trenta chilometri assomigliano ad un inferno. Con la gamba martoriata non riesce a pedalare bene, spinge solo con l’altra e sulla bicicletta è storto, sforza i muscoli sbagliati, cerca la posizione migliore per continuare senza stare troppo male, senza sentire quella voragine al ginocchio che urla assieme all’osso e ai muscoli. Nel gruppo non riesce a partire la fuga giusta e presto Diego si trova tra le ammiraglie: si è staccato in pianura, ha la faccia bianca, i farmaci e il dolore lo intontiscono e di chilometri ne mancano davvero troppi. Le portiere della macchina dell’Androni-Venezuela, la sua squadra, sono lì: forse lo invitano a salire, a porre fine a quella fatica disumana. Perché continuare?
Invece davanti parte la fuga e lui riesce a rientrare faticosamente. Sono chilometri di limbo, di male muto, mischiato a tutti i postumi di quell’attimo, di quella caduta di due giorni prima. “Non pensavo a niente” racconta, “Solo a tener duro. Ho fatto meno fatica a tenere il ritmo di Pozzovivo sul Carpegna, in confronto a tutto quel dolore, al corpo che non mi rispondeva più, la salita del giorno prima mi sembrava un gioco.”
Il ciclismo e le cose che si vivono e che a volte sono troppo intense da poter raccontare nel modo giusto: un giorno tra i migliori e l’altro a seguire la scia di un’ammiraglia con il miraggio delle schiene del gruppo.
Sulla penultima salita Diego si stacca di nuovo ma questa volta, con lui, ci sono tutti gli altri compagni che non reggono il ritmo delle grandi ascese. Velocisti, per lo più. Un terreno strano e insolito per lui che è abituato a scalare le montagne tra le prime posizioni: quando la strada sale, difficilmente è in fondo al gruppo. Invece quel ginocchio lo costringe lì, tra quelli che le montagne le soffrono come una punizione, e assieme al dolore che non si placa, alla gamba che protesta per il doppio lavoro, arriva anche la paura di non arrivare entro il tempo massimo. Non sa come funziona, non è abituato a controllare il cronometro in questo genere di tappe, è una preoccupazione nuova. Comincia a chiedere agli altri corridori nel gruppetto: quanto abbiamo? Ce la facciamo ad arrivare in tempo? Quanto c’è ancora?
E’ una lotta tra minuti e dolore e gli ultimi chilometri per arrivare al traguardo sono forse i peggiori. E’ solo testa, il corpo deve far finta di non sentire che quella strada sale con una cattiveria inaudita, con pendenze che arrivano al tredici per cento. Troppo per quella giornata, troppo per quel ginocchio che forse si sta gonfiando ancora. Trecento, duecento, cento. Il traguardo è là, contro il cielo azzurro, spoglio di gente. Sono passati più di venti minuti dall’arrivo dei primi, la festa è finita, si pensa già al giorno di riposo ma la ferita di Diego continua a torturare l’osso, anche dopo quel traguardo che si è meritato fino in fondo. Importa che ce l’ha fatta, che è restato nel tempo, che martedì potrà ripartire ancora. E’ arrivato nel silenzio, quello che accompagna sempre gli ultimi, quelli che di secondi ne hanno accumulati troppi per essere aspettati.
Il giorno di riposo di oggi è una benedizione e Diego ha recuperato le ore di sonno che aveva perso. Domani è un’altra tappa, il ginocchio è ancora gonfio, fa un po’ fatica a camminare ma i medici dicono che in un paio di giorni dovrebbe migliorare e andare a posto. Nel frattempo forse ci sarà ancora da stringere i denti, da conquistare arrivi aggrappandosi all’asfalto.
Certo sembra impossibile che in questo Giro d’Italia pieno di pettegolezzi inutili questa storia sia stata lasciata a sé stessa, senza essere raccontata ai tifosi avidi di umanità. L’umanità che fa del ciclismo uno sport vero, simile a noi, che soffre con noi.
Ecco quello che un ragazzo in bicicletta può fare pur di non lasciare andare i suoi sogni. E’ un misto di responsabilità e incoscienza, tra il dovere che impone di non lasciarsi andare e l’irrazionalità di non pensare al corpo, al dolore ma solo a un arrivo da raggiungere.
O forse non è niente di tutto questo. Forse è solo la storia silenziosa di un ragazzo coraggioso.