Magazine Attualità

Storia socio-economica di Diyarbakır e della sua regione (réportage di Francesco Marilungo)

Creato il 19 novembre 2011 da Istanbulavrupa

Tra l’11 e il 13 novembre scorsi si è tenuto a Diyarbakır il workshop Diyarbakır ve Çevresi Tomplumsal ve Ekonomik Tarihi (Storia socio-economica di Diyarbakır e della sua regione): organizzato dalla Hrant Dink Foundation, dal DISA (Diyarbakır Institute for Political and Social Research) e dalla municipalità di Diyarbakır presieduta dal sindaco BDP Osman Bayedemir. Il periodo preso in esame andava dall’apertura del Tanzimat (1839) all’iniziò della prima guerra mondiale (1914): sciogliendo il giro di parole del titolo del workshop, il tema centrale del dibattito è stato il genocidio del 1915 della popolazione cristiana che da secoli abitava nell’est anatolico.

Più spesso conosciuto come genocidio armeno, comprende anche la deportazione, l’evacuazione, l’uccisione o l’assimilazione di etnie non armene ma di credo cristiano: il più grande di questi gruppi è rappresentato dai siriaci, che abitavano soprattuto la regione di Mardin. L’evento ha una portata storica, se si considerà la suscettibilità estrema delle autorità turche sul tema. Ancora più interessante è che ricercatori e accademici armeni e siriaci siano venuti a confrontarsi su questo tema proprio qui a Diyarbakır: città che all’epoca era densamente popolata da cristiani, ma che ora è considerata la “capitale” dei curdi, primi esecutori dei massacri del 1915. Il sindaco Baydemir (uno dei più promettenti politici del BDP), rivolgendosi agli studiosi arrivati dall’estero, ha esordito con un caloroso “Bentornati a casa!”. Non solo. Lo scorso ottobre, grazie all’impegno economico della Municipalità di Diyarbakır e di fondazioni private, è stata riaperta dopo ingenti lavori di restauro la chiesa armena – la più grande di tutto il medioriente – di Surp Giragos Kilisesi, situata nel centro delle antiche mura romane di Diyarbakır/Amed: “un restauro delle coscienze, più che un restauro culturale” secondo il sindaco. Pochi giorni dopo l’apertura, nella chiesa sono stati battezzati trenta armeni, le cui famiglie si erano vedute costrette a convertirsi all’islam per salvare la pelle, negli anni dieci del ’900.

A poche centinaia di metri dalla chiesa, si trovano la vecchia prigione ottomana e il palazzo del Valilik (Governatorato). Da lì l’oscura figura di Reşit Bey (un circasso) gestì le fucilazioni e le deportazioni di tutto l’est anatolico, prendendosi grosse libertà rispetto all’autorità centrale di Istanbul. Durante il workshop sono state ricostruite queste ed altre dinamiche. Molti analisti hanno sottolineato come la povertà in cui ora la regione si dimena sia dovuta al genocidio che eliminò in pochi mesi la classe borghese e artigianale, rappresentata proprio dai cristiani. Spesso si sono sottolineati gli esempi positivi di famiglie musulmane (per lo più curde) che rischiarono la proria incolumità per salvare intere famiglie e villaggi cristiani. Lampi di speranza a cui la Hrant Dink Foundation, nello spirito del giornalista armeno, dà molta importanza in un panorama di violenza e devastazione disuamano; un clima di isteria sociale che portò le grandi famiglie curde, imbeccate dai bisogni geo-politici dell’impero ottomano, a massacrare i popoli con cui per secoli avevano condiviso in cambio dei loro beni e delle loro terre.

Dopo il genocidio armeno, è rimasta in eredità a queste terre la questione curda, quasi una nemesi storica, come se lo spirito della guerra non volesse abbandonare questi luoghi, fuorioso per l’equilibrio “sacro” (dice Baydemir) che di colpo fu rotto. Nel complesso il workshop testimonia la voglia e la decisione con cui la società civile della Turchia vuole fare i conti col proprio passato e con le pagine oscure di esso. Per poter finalmente costruire una vita di pace, una democrazia matura che accetti e protegga le sue minoranze etniche e religiose, per risolvere, attraverso il dibattito storico su un periodo fondamentale che rivoluzionò tragicamente la demografia di questa terra, il conflitto presente. Per trovare pace con le proprie coscienze, le proprie anime, con la storia e col mondo.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :