Siamo capitati uno nei momenti lenti dell'altro, una sera di gennaio. Il 4. Otto anni fa. Lo ricordo come fosse ieri: la cresta sparuta, una giacca sdrucita, i pantaloni un pò troppo larghi erano corteccia secca come staccata dal tronco. Non eri tu, non ero io, non avevamo ancora quegli argini rotti per poter essere uno nel corso dell'altro. Non c'era corrente; il nostro caos, calmo, era una pozza d'acqua stagnante che non potevamo ancora abitare: piccola, poco profonda, senza marea.
Ora mi abiti dentro, sempre, con quella fronte larga di pensieri, il cuore pieno di manie, la tua mano bianca, lunga, che io vedo come goffa quando ti stritolo di carezze e tu mi respingi perché, là sotto, con la testa contro il mio petto, tu soffochi, non respiri, ti perdi.
Ti conosco perché ti vivo, l'abitudine è la nostra parola: un dialogo fatto di cose sedimentate col tempo, un letto di granelli di farina che segnano ogni nostro passo, su cui abbiamo fatto nascere il nostro oceano: siamo un corpo cinto dal braccio dell'altro, a luce spenta, la sera.
(Immagine tratta dal film "Fratellanza-Brotherhood" di Nicolo Donato, vincitore del Marc'Aurelio, miglior film, al IV festival internazionale del film di Roma)