Se tu non fossi stato uno stronzo, la nostra storia d’amore sarebbe andata benissimo. Per qualche tempo, magari per un mese, magari un anno, mai per sempre perché c'erano cose di te che non mi piacevano già all'inizio e allora figurati quelle cose che non ti piacciono all'inizio di una relazione come diventano alla fine, si ingigantiscono, ti infastidiscono, ti danno il nervoso fino alla radice dei capelli che ti vibra anche il cervello; insomma non so per quanto tempo sarebbe durata, ma probabilmente sarebbe stata una bella storia.
Alla fine il tempo da cui ci conoscevamo si contava su due mani, così come si contavano su due mani più altre due mani tutte le volte che ad ogni festa in cui ci rivedevamo restavamo a parlare per ore di chissà che cosa, nemmeno mi ricordo, e tu mi riempivi il bicchiere di birra, e poi tutto ad un tratto mi dicevi “Vieni un secondo di là che ti devo far vedere una cosa”, e io sapevo che cosa si nascondeva in quella frase, e mi prendevi per mano e poi appena eravamo nascosti da tutti mi stampavi uno di quei baci di film, quelli che le mani non sono sul culo o da qualche altra parte, quei baci che le mani sono sul viso. Quei baci che quando hai diciotto anni alla fine ti sembra che qualcosa ci sia davvero.
Poi sono passati gli anni, ci siamo persi di vista, e io in quegli anni ho preso strade che non sapevo dove mi avrebbero portato, mi sono innamorata, ho conosciuto tanta gente, ho passato serate in giro per Bologna pensando che la vita fosse tutta lì, e poi ho capito che dovevo andarmene da tutto e mi sono trasferita in un’altra città. Una città lontana ma non troppo, a vivere di nuovo. Senza sapere dove fossi tu.E poi un giorno, mentre pedalavo per quella città, nemmeno ti pensavo, non ti pensavo da un bel po’, non sapevo nemmeno dove fossi, ti ho visto. Dall'altra parte della strada. Sorridevi. A chi sta sorridendo, impossibile che mi abbia riconosciuto, non ci vediamo da anni. Sorridevi. A me. Mi sono fermata e ho pensato chissà che cazzo di faccia ho, che pedalo da mezz'ora, ho l’ascella pezzata sicuramente e magari oddio, magari puzzo? Ma a te che te ne fregava, non avevo nemmeno fatto in tempo a mettere giù la bici e già mi stavi abbracciando.
Ci siamo seduti in un pub in un pomeriggio di giugno e abbiamo ordinato una bottiglia di vino. E io dicevo dai, sono le tre di pomeriggio, cosa ordini una bottiglia di bianco, non è un po' troppo? E tu mi hai chiesto se avevo di meglio da fare, dovrei studiare ma in realtà no, non mi pare di avere di meglio da fare, ti avevo risposto io. Siamo stati cinque ore a parlare e a bere vino bianco, il sole non c’era più quando mi hai dato uno di quei baci che mi davi quando eravamo piccoli alle feste. E io ho pensato che ti amavo. Forse ti avevo sempre amato e avevo sempre fatto finta di niente o forse aspetta un attimo ho bevuto una bottiglia intera di prosecco non è che magari è quello? No, no, io ti amavo, prosecco o no. Ti amavo perché a prescindere da tutto, com'è possibile che due persone si incontrino dopo anni in una città come Londra, per puro caso, e si vedano e si sorridano, quelle due tra dodici milioni di persone, il traffico e il mio casco in testa?
Siamo andati in macchina fino a casa tua e tu mi tenevi per mano mentre guidavi, tutto il tempo, e io pensavo che forse l’amore era quello, e non addormentarsi nello stesso letto girati uno da una parte e l’altro dall'altra dicendosi buonanotte senza sentimenti. Altro vino, altri baci, e le tue parole perfette che chissà se te le eri imparate a memoria da qualche film, perché sembravano prese da un film: ora che ti ho trovato non ti lascio più, dove sei stata tutto questo tempo, io lo sapevo che tra noi c’è sempre stato qualcosa.
Il giorno dopo ero felice. Felice che tutta quella tristezza che avevo addosso da un po' sembrava sparita, volevo alzarmi, ballare, correre e vederti e dirti che avevi ragione, che c'era sempre stato qualcosa tra di noi da quella sera a quella festa in cui mi avevi rovesciato una birra addosso e mi avevi prestato la tua maglietta per tornare a casa, che tra di noi c'era qualcosa sul serio e che sì, io non volevo lasciarti mai più.Allora ti ho chiamato e ti ho detto vediamoci, e tu mi hai detto oggi non posso, vediamoci domani alle 18 su quella panchina sotto l'albero con le luci in fondo a Southbank, vicino allo skate park, magari porta una bottiglia di vino, così guardiamo il tramonto, amore mio.
Io sono arrivata alle 18.15, perché ho pensato che così non sarei arrivata per prima e non sarei rimasta lì ad aspettarti se fossi stato in ritardo, e perché insomma non volevo farti capire subito tutto. Se fossi stata seduta su quella panchina alle 18 avrebbe voluto dire che non vedevo l’ora di vederti, ed era vero, ma non volevo che tu lo sapessi.
Alle 18.45 tu ancora non c’eri. Ti ho scritto un messaggio: dove sei? Non hai risposto. Alle 19 ero ancora seduta con la mia bottiglia di vino bianco ora bevuta per metà, e tutta la gente intorno a me guardava il tramonto ridendo, bevendo, baciando. Il cielo era rosa, nemmeno una nuvola, non capita spesso qui, dove sei finito, ti sbrighi, ti stai perdendo tutto. Stai perdendo me. Stai perdendo noi, forse, se davvero esiste questo noi. Di sicuro ti sto finendo il vino, brutto cretino.
Alle 19.30 mi hai scritto un messaggio: “Scusami, amore, è che penso che non è la cosa giusta. Se dovrei stare con te ora non sarei me stesso.”
E io ho letto il messaggio. L’ho riletto. E mi sono messa a ridere, tanto, tantissimo, e ho cominciato a piangere che non so ancora se fosse di felicità o di tristezza o perché ancora prima di leggere il tuo messaggio avevo finito il vino bianco.
E poi ti ho risposto: “Scusami, amore, ma hai sbagliato il congiuntivo. E poi scusami, amore, ma vaffanculo.”
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