Produrre un post dantesco in occasione della nostra settimana dedicata all’horror e ai morti viventi rischiava di apparire un po’ come un azzardo: le pagine della Divina non abbondano – e per motivo facilmente comprensibili – di zombies, pur regalando alcune delle più belle immagini terrorizzanti della storia della letteratura.
Fortuna vuole che, con l’immodesta pretesa di raccontare qualche curiosità sull’Inferno dell’Alighieri, siamo giunti proprio al sesto canto, caratterizzato da una forte (e modernissima) impostazione politica, su cui non ci soffermeremo, e da una creatura adattissima al nostro piano editoriale di questi giorni: il terrificante Cerbero!
Si tratta di uno dei migliori esempi di una delle più incredibili caratteristiche della poetica dantesca: la capacità, ai limite del sovrannaturale, di reinterpretare e rendere moderni e personali miti, personaggi e storie già cantati nell’antichità. E’ il confine a volte sottile fra resoconto e interpretazione: Dante si affida – praticamente sempre – alla seconda, e incide profondamente il tessuto culturale dei suoi tempi e dei secoli che seguiranno, oserei dire per sempre.
Così, il mito di Cerbero non è nato certo in riva all’Arno: affonda nella mitologia greca ed è tipicamente rappresentato come un cane a tre teste, piazzato a mo’ di Fido da guardia all’ingresso dell’Ade per impedire ai morti di entrare nel mondo dei vivi (e viceversa). Dante prende l’immagine antica, la scaraventa nella pentola della sua poesia e ne tira fuori una ricetta del tutto nuova, di una vividezza quasi surreale.
Tutti i sensi del lettore sono stimolati nell’immaginazione: Cerbero “caninamente latra”, “li occhi ha vermigli”, “la barba unta e atra”, “unghiate le mani”. E’ una figura mooooooolto medievale, una di quelle immagini che colpivano profondamente i contemporanei e che erano utili anche a significare un’allegoria: barba unta per la sozza ingordigia, occhi accesi dall’ira, e via dicendo. Ed è, per la prima volta nelle rappresentazioni di Cerbero, una figura semi-umanizzata: pensateci, la prima volta che darete del “Cerbero” a qualcuno per dileggiarne il suo essersi messo a guardia di qualcuno o di qualcosa…
Una tale rappresentazione non poteva che stimolare la fantasia di chi si è cimentato con l’illustrazione della Divina Commedia: ve ne propongo alcune in rapidissima successione.
Alfonso d’Agostino
Il Cerbero dantesco nella interpretazione di Dorè
Il sesto canto per Guglielmo Giraldi
Priamo della Quercia
Una interptretazione… ehm… più moderna tratta da un manga giapponese