Il quinto canto è dominato dalla storia di Paolo e Francesca.
Considerando che:
- non si contano gli amori liceali nati tra le righe di “la bocca mi basciò tutto tremante”;
- Amor che nullo amato amor perdona campeggia, oltre che sulle Smemo di una variegata moltitudine di studenti, anche in almeno due celebri canzoni;
- non si possono enumerare i dipinti che hanno raffigurato i due amanti;
- trasposizioni cinematografiche e teatrali sono presenti in ogni dove;
ho deciso che due fedigrafi hanno ricevuto una quantità smodata e sufficiente di attenzione, certamente dovuta sia alla storia tragica (seppur priva di chiari riferimenti storici) che al genio dantesco. Oggettivamente, si tratta di alcune delle più belle espressioni letterarie dedicate all’Amore, trattato con l’onestà intellettuale di uno che era pur stato poeta dell’amor cortese e che si ritrova a osservare pensosamente (e penosamente) i frutti di una unione immorale. Se mai un giorno dovessero scendere degli Alieni da Alpha Centauri e dovessimo mostrare una pagina scritta su questo sentimento umano, beh, non avrei certamente dubbi.
E allora, se non sulle figure di Paolo e Francesca, su cosa possiamo concentrarci per raccontare qualcosa del quinto canto dell’inferno?
Ho un suggerimento: Semiramis, ai giorni nostri ricordata come Semiramide.
Partiamo da un po’ più indietro: nell’antichità, Semiramide risulta una figura di regina babilonese a metà tra lo storico e il leggendario. Erodoto ne narra come di una grande sovrana, capace di conquistare l’Egitto e l’Etiopia e promotrice di grandi architetture tra le quali una delle sette meraviglie del mondo: i giardini pensili di Babilonia. Una meraviglia assoluta creata e custodita in una terra arida (siamo dalle parti di Baghdad) e ingegneristicamente avanzatissima, con due bacini a pescare acqua dell’Eufrate e un complesso sistema di irrigazione. Insomma, questa:
Quattro secoli dopo, anche Diodoro Siculo la tratteggia come una buona sovrana: non le attribuisce l’idea dei giardini pensili ma l’accredita della realizzazione di molte costruzioni, tra le quali le sette cinta di mura di Ecbatana che – ciascuna dipinta di un colore diverso e lastricate di oro e argento – proprio schifo non dovevano fare.
Dante, però, di tutto ciò non sapeva. O meglio decise di fidarsi di una vulgata storica di matrice più coerente alla sua, che affonda le sue tradizioni in Giustin , Agostino di Ippona e Paolo Orosio: tutti costoro tramandarono l’immagine di una regina spietata e dedita al peccato carnale, rendendola simbolo della lussuria pagana. Si narrò che avesse ucciso il marito perchè innamorata del suo stesso figlio e che – non paga evidentemente della schifezza – avesse promulgato una legge che lo consentisse. E’ a questo che fa riferimento Dante quando scrive “A vizio di lussuria fu sì rotta/che libido fè licito in sua legge“.
La figura di Seminaride verrà artisticamente rivalutata molto più tardi: in particolare, mi piace ricordare uno splendido quadro di Degas conservato al Musée d’Orsay di Parigi davanti cui ho sostato a lungo. Si intitola “Semiramide alla costruzione di Babilonia”, e la regina è ritratta in posa e abbigliamento classicissimi mentre ammira i lavori di costruzione della sua città. Forse è bello immaginarla così, e Dante ce lo permetterà.
Semiramide alla costruzione di Babilonia di E. Degas
Semiramide alla costruzione di Babilonia di E. Degas (particolare)