Storie di città: riabilitazione psichiatrica e soggettività

Da Quipsicologia @Quipsicologia

Giovedì scorso, sono andata alla presentazione del volume Storie di città. Itinerari del cuore… fatti con i piedi. È una raccolta di racconti ispirati a vari luoghi di Roma, una raccolta curata dal Centro Diurno di via Montesanto (Roma), frutto della collaborazione di pazienti e operatori. In Storie di città si susseguono narrazioni di Roma diverse per stile e ritmo, ma sempre generate dai ricordi, dall’esperienza, insomma dalla visione soggettiva di chi le ha scritte. Una visione parziale, cioè di parte e che taglia fuori tante altre descrizioni possibili. Al di là della qualità artistica, Storie di città è un felice esempio di riabilitazione psichiatrica postmoderna, condotta sul territorio, nel mondo reale.

È una città non sempre da cartolina né splendida quella delineata dagli undici itinerari di Storie di città. Sono passeggiate a volte inconsuete, spregiudicate – quanti si sono mai avventurati nel fare un giro a piedi a Casalotti? – che hanno forse permesso a chi le ha descritte di riappropriarsi, in modo parallelo, di alcuni frammenti della sua città e della sua storia personale.

Una riabilitazione psichiatrica postmoderna

Esempio di riabilitazione psichiatrica postmoderna, dicevo. Sì, perché la riabilitazione psichiatrica (o psicosociale) si è pian piano affrancata dall’essere solo un modo per far passare il tempo (se non ammazzarlo) a persone cui gravi problemi mentali avevano reso invivibile la vita, proponendo loro attività avulse dai loro interessi o da uno scopo esterno. Penso a tutte quelle attività proposte ai pazienti “perché i pazienti devono pure fare qualcosa”.

Ma il fare è “terapeutico” solo se ha un obiettivo e se serve a qualcosa.

Prendiamo l’ortoterapia: se coltivo pomodori che poi non trasformo in un sugo né vendo ma faccio marcire sulla pianta, l’ortoterapia sarà un’attività avvilente, che mi svuoterà di energie, altro che aiutarmi a sviluppare abilità e competenze per la vita.

Il fare non è sufficiente di per sé e, perché si possa davvero parlare di riabilitazione, ci vuole una cornice più generale.

Questa cornice più grande è il contesto umano, la relazione con le altre persone. Così, nella riabilitazione psichiatrica, il fare può diventare fare insieme agli altri, piegandosi intorni ai loro spigoli e auspicando che anche gli altri accolgano le nostre ruvidità. Un fare insieme che è scambio di idee, di affetti, di cose. È partecipazione a quello che si sta facendo, avere il diritto di dire la propria opinione e di essere ascoltati. È a questa negoziazione, a volte faticosa, a volte fluida, cui mi riferivo sopra, parlando di collaborazione tra pazienti e operatori.

Oggi, la riabilitazione psichiatrica  è sempre più “sul campo”, fuori dagli spazi istituzionali, e sempre più orientata a considerare i pazienti non come consumatori di servizi e di risorse, ma risorse loro stessi, non sacchi vuoti da riempire con le proposte più disparate, ma protagonisti che dicono la loro opinione sul loro percorso di cambiamento e cura, sui loro bisogni, produttori di significato.

Tutto questo può sembrare ovvio, ma ovvio non è, se consideriamo che per secoli ai cosiddetti folli nessuno ha mai chiesto nulla e se consideriamo che ancora adesso i pregiudizi su chi soffre di un disturbo mentale si sprecano: come ho già detto a proposito dei film sulla depressione e dei film in cui uno dei personaggi è affetto da schizofrenia, spesso film e libri contengono gravi inesattezze ed errori, ad esempio che la cura consiste prevalentemente nell’assumere farmaci o che chi è schizofrenico è per ciò stesso una persona violenta. Purtroppo, certi film possono contribuire ad alimentare un vero e proprio stigma, una disapprovazione costruita sulla base di alcuni dettagli: stigma è ad esempio ritenere una persona inaffidabile e smettere di frequentarla solo perché si è venuti a sapere che assume psicofarmaci.

Storie di città è allora un’importante operazione culturale, un modo originale, ironico, per avvicinarsi alla sofferenza mentale e, forse, per cominciare a pensare alla sofferenza mentale come parte integrante della condizione umana.

Storie di città. Itinerari del cuore… fatti con i piedi sarà presentato nuovamente venerdì 15 presso la Libreria AsSaggi, via degli Etruschi 4/14 (Roma), alle ore 20:00. Il volume è distribuito gratuitamente.

Photocredit: Luciana Cedrone

Rosalia Giammetta, psicologa e psicoterapeuta, è responsabile dell’area prevenzione dei comportamenti a rischio in adolescenza per l’associazione PreSaM onlus. Nell’ambito dell’educazione alla salute e della peer education, ha condotto numerose attività di formazione e ha pubblicato il volume L’adolescenza come risorsa. Per saperne di più, visita la sua pagina personale e leggi gli altri articoli.

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