Scrivere cento post su un unico tema non sarà affatto facile. Il problema, al di là delle apparenze, non è solo quello di trovare abbastanza cose da raccontare (da quel punto di vista, materiale e fantasia non mi mancano), quanto riuscire a mettere tutto in fila con coerenza, in modo tale che il risultato complessivo non si riduca a un’accozzaglia di parole prese un po' a caso e buttate lì senza logica.
Problema che, a ben vedere, riguarda un po' tutti i miei progetti a lungo termine. Come è mia abitudine però, e lo avrete ormai capito soppesando i tanti progetti che sono stati iniziati sinora, il sottoscritto naviga più o meno a vista. La priorità pertanto è quella di non perdere la rotta, aiutandomi, come ho fatto altre volte, con una pagina statica dedicata che possa essere di supporto tanto al sottoscritto quanto all’occasionale viandante del web. Non mi è davvero possibile immaginare con così largo anticipo dove mi porteranno le parole una volta che saranno state impresse su questa pagina bianca. Non mi resta quindi che iniziare. Il viaggio che ci aspetta è molto lungo ed è ormai ora di tirare a bordo la cima e salpare le ancore.
Storie di fantasmi giapponesi. Quattro parole che già da sole riescono a evocare un intero universo, al tempo stesso vicino e lontanissimo. Tutti noi, in un modo o nell'altro, abbiamo avuto modo di capitarci dentro, in quell'universo: vuoi per aver visto un film, vuoi per aver letto un libro, vuoi per aver ammirato una di quelle meravigliose stampe dai colori così delicati da non lasciare il minimo dubbio sulla loro provenienza. Qualunque possa essere stata la nostra esperienza, sia essa positiva o negativa, è innegabile che essa è stata in grado di trasmetterci quel certo tipo di fascino raramente rintracciabile altrove. Il fascino dell'estremo Oriente, con le sue credenze, le sue tradizioni, i suoi modi così assurdamente diversi da quelli con cui siamo abituati ad avere a che fare nella vita di tutti i giorni. Ma quanto sono davvero diversi i fantasmi giapponesi da quelli occidentali?
In fondo in fondo qualcosa di simile, se non sostanzialmente identico, lo si può anche trovare, ma quelle similitudini, come vedremo, a un certo punto iniziano a sbiadire per lasciare il passo a qualcosa di decisamente inconsueto. Ce ne renderemo conto, un poco alla volta, nel corso di questo lungo viaggio. Oggi però partiamo dall'inizio, dalla domanda che sta un po’ alla base di tutto: “cos'è un fantasma?”. Per definizione, molto sinteticamente, un fantasma è la manifestazione di una presenza incorporea, generalmente originata da vecchie credenze popolari, quelle leggende che, tramandate di generazione in generazione a partire dalla notte dei tempi, sono giunte fino a noi per via orale, almeno inizialmente, per poi proseguire il loro percorso sulla carta stampata e, ancora più tardi, sulla celluloide. L'immaginario occidentale ha sempre preferito rappresentare il fantasma, forse per sdrammatizzarne i contorni, come una figura antropomorfa avvolta in un sudario bianco che si aggira inquieta per i corridoi di un antico castello producendo un assordante rumore di catene: è quello il tipico fantasma che abbiamo ammirato migliaia di volte nei cartoni animati della Walt Disney, giusto per capirsi. Un fantasma tutt’altro che spaventoso, non trovate?
Portrait of Jennie - William Dieterle (1949)
La più diffusa credenza popolare ritiene che i fantasmi non siano altro che le anime dei defunti che, in qualche modo, riescono a manifestare la loro presenza nel mondo terreno, spesso e volentieri allo scopo di portare a termine qualcosa che, al momento del trapasso, era stato lasciato loro malgrado irrisolto. Milioni di storie sono state raccontate aderendo a questa interpretazione e il motivo mi sembra piuttosto ovvio: fra le tante possibili, questa è la visione più rassicurante, quella che indirettamente ci suggerisce la possibilità di una vita dopo la morte, in perfetta aderenza a ciò che, sin da piccini, usando magari delle favolette, ci hanno sempre invitato a credere. Il manifestarsi dell'anima di un defunto, ancora meglio se appartenente a uno dei nostri cari trapassati, è, aldilà di ciò che si voglia credere, un forte messaggio d'amore, la prova inconfutabile che il bene finisce sempre per aver ragione del male. Pensate ai fantasmi romantici del cinema, quelli protagonisti di capisaldi del genere come Il ritratto di Jennie (William Dieterle, 1949), la storia melodrammatica di un amore impossibile tra un giovane pittore e lo spettro di una fanciulla morta anni prima, o di film commerciali come il ben più celebrato Ghost (Jerry Zucker, 1990), sdolcinata favoletta-su-misura cucita addosso al compianto Patrick Swayze e una Demi Moore all'inizio della carriera e non ancora così prorompente.Ma perché allora i fantasmi ci terrorizzano? Magari mi sbaglio, ma potrebbero essere state proprio le credenze popolari, sfociate in seguito nella letteratura e nel cinema di cui sopra, a trasformare nel corso dei secoli i fantasmi da creature benevole in creature maligne. A parte quelle rare eccezioni già citate, gli scenari nei quali sono state costruite le storie di fantasmi sono stati quasi sempre lugubri e tetri, scenari che hanno trasmesso un senso di angoscia, di tristezza e di sofferenza, luoghi isolati e terribili come i cimiteri nelle ore notturne. Quanti di voi potrebbero affermare, in tutta onestà, di essere in grado di attraversare serenamente un cimitero nel cuore della notte? Appunto.
In questo senso, occidentali e orientali la vedono esattamente nello stesso modo, perché difficilmente la manifestazione terrena dell'anima di un defunto può essere considerata di buon auspicio.
Va però precisato che, di per sé, avere un contatto con un defunto può non essere negativo; può anzi essere un'esperienza commovente e confortante se il caro estinto, dopo aver testimoniato il suo amore, ovviamente, se ne torna al luogo a cui ormai appartiene (vedi per esempio la tradizionale festa Obon). Il defunto può anche essere interpellato per rivelare qualcosa che ai vivi non è dato sapere, ma anche in questo caso il rito prevede che, una volta fatto questo, il contatto si interrompa.
Théodore Chassériau - Le spectre de Banquo (1854)
Ma se è vero che un trapassato riesce a tornare fra i vivi per trovare una soluzione a qualcosa di irrisolto, ben difficilmente quel "qualcosa" può essere l’amore. In sporadiche occasioni le motivazioni degli spiriti sono nobili, come nel “Canto di Natale” di Dickens, dove il fantasma di Jacob Marley riappare al suo vecchio socio Ebenezer Scrooge per renderlo consapevole dei suoi errori. In “Cime Tempestose”, invece, le apparizioni di Catherine ad Heathcliff sono la materializzazione di un legame ossessivo e totale che nemmeno la morte ha potuto recidere, perché i due protagonisti hanno di fatto due corpi e un'anima sola. Il più delle volte tuttavia a muovere i passi degli spiriti è il desiderio di rivalsa nei confronti di qualcuno. Pensate ad Amleto, principe di Danimarca, spinto dal fantasma del padre a vendicarne la morte, al fantasma di Banquo che, tradito e assassinato dal suo migliore amico, si ripresenta agli occhi di Macbeth trascinandolo nella follia, o ancora al fantasma di Lady Madeleine, la cui furia si scatena sul fratello Roderick Usher, trasformando infine in un cumulo di macerie anche la casa omonima.Anche in Oriente le storie di fantasmi sono spesso storie di tradimento e di vendetta, essendo nate in una società dove storicamente le donne sono sempre state subordinate all’uomo in tutto e per tutto, schiacciate sin dalla nascita dalla pressione sociale e da quella mentalità tradizionalista che le vuole figlie ubbidienti, mogli fedeli e amanti appassionate. Introduciamo quindi già da oggi il concetto di Onryō (怨霊), uno delle più terribili creature dell'immaginario giapponese: il fantasma di una donna la cui sete di vendetta è talmente forte dal renderla praticamente inarrestabile. Con questo non voglio dire che tutti i fantasmi vendicativi giapponesi siano donne, ma in un certo senso essere donna, da questo punto di vista, aiuta parecchio. Ma ci sono diverse differenze sostanziali tra i fantasmi occidentali e quelli orientali (gli Onryō in particolare), differenze che andremo ad analizzare meglio nei prossimi articoli: 1) i fantasmi giapponesi raramente sono eterei e impalpabili, 2) il loro ritorno sulla terra è guidato da un’inarrestabile emozione, 3) la loro presenza non infesta necessariamente un singolo luogo e 4) il loro rancore non viene mai scatenato esclusivamente su coloro che furono responsabili di una colpa...
Il presente articolo è parte di un vasto progetto che ho voluto chiamare Hyakumonogatari Kaidankai (A Gathering of One Hundred Supernatural Tales) in onore di un vecchio gioco popolare risalente al Giappone del periodo Edo (1603-1868) e, di tale progetto, esso rappresenta la parte 2 in un totale di 100.
Se volete saperne di più vi invito innanzitutto a leggere l'articolo introduttivo e a visitare la pagina statica dedicata, nella quale potrete trovare l'elenco completo degli articoli sinora pubblicati. Buona lettura!
P.S.: Possiamo spegnere la 2° candela...