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Quando morì mia nonna, l'annuncio arrivò a casa nostra un sabato mattina presto di una ventina d'anni fa.
I primi ad arrivare a casa sua fummo io e mio zio Giona.
Trovammo Elena la badante rumena in lacrime, era sola, accoccolata per terra, accanto al letto.
Non ci sarebbe rimasta ancora a lungo: di lì a poco la stanza si sarebbe riempita di parenti, affini, amici e vicini curiosi.
Mia nonna quasi centenaria, si era stesa nel letto la sera prima, come sempre intorno alle nove, si era ddormentata serenamente, nonostante i dolori all'anca operata di recente, e non si era più rialzata.
Non si era più alzata, semplicemente perchè non si era più svegliata.
La morte migliore, dicono alcuni: "ti addormenti e non ti risvegli più!"
A me non piacerebbe, sebbene penso che le morti, alla fine, siano tutte uguali: si ferma il cuore, per le ragioni più diverse, e ti addormenti per sempre, oppure cadi nel nulla.
Poco dopo arrivarono a casa di mia nonna alcune parenti anziane, col compito di vestirla, prima che giungesse il rigor mortis e rendesse tutto più difficile.
Subito dopo arrivò anche il becchino stracarico di roba: il catafalco smontato in spalla, la croce di bronzo con l'asta telescopica, i lumini elettrici da mettere ai piedi e a capo del letto di morte e tutto l'armamentario di tovaglie e pizzi neri per coprire il letto e il cadavere, tutto contenuto in una borsa di tela che sembrava il pozzo senza fondo di S.Patrizio.
Allora fumavo ancora e per ammazzare il tempo io e mio zio, che fuma allegramente tuttora, uscimmo sul balconcino che da sulla strada, a fumare qualche sigaretta e a parlare un po.
Bisogna telefonare in America - diceva - e a Frosinone; qualcuno dovrà andare dal prete, subito, per far suonare le campane a morto e fissare la data del funerale.
E proseguì con la sua lista, come se volesse ricordare a se stesso le cose da fare - quando Angelo avrà finito di montare il catafalco provvederà a telefonare alla tipografia per i manifesti funebri.
Intanto che ascoltavo distrattamente mio zio, la mia attenzione fu attirata da una lunga serie di bottiglie di plastica, saranno state un paio di dozzine, pure di più, di quelle dell'acqua minerale ma senza l'etichetta di carta, piene d'acqua e tappate e allineate sotto il bordo del balcone.
Come i soldati cinesi di terracotta.
Strano, non avevo mai vista una cosa così.
Provai anche a darmi delle risposte sul possibile, anzi probabile, utilizzo: l'artefice di sicuro era stata Elena, la badante, quella col dente d'oro; a mia nonna non sarebbe mai venuta in mente una cosa così e, comunque non sapevo che l'avesse mai fatto in vita sua.
Con molta probabilità quelle bottiglie, quell'acqua, serviva ad innaffiare una cinquantina di piccoli vasetti di coccio, disseminati nel piccolo giradino, nei quali mia nonna, e la stessa Elena, piantumavano i loro piccoli fiori.
Con molta probabilità era acqua piovana raccolta direttamente dalla grondaia in una grossa conca e poi travasata nelle bottiglie.
Forse in Romania l'acqua, anche quella piovana, è una risorsa; la risparmiano e la riutilizzano, presumo con grandi benefici sulle bollette dell'acquedotto.
Qualche settimana dopo mi è capitato di passare davanti al giardinetto di mia Nonna.
Elena, esaurito il suo compito, s'era trasferita a Milano subito dopo il funerale, la casa di mia nonna era rimasta disabitata.
Di fiori nemmeno più l'ombra. Tutto seccato. Un deserto.
A testimonianza del vecchio giardinetto c'era solo la teoria di bottiglie d'acqua allineate sotto il muretto del balcone.
La conca d'acqua piovana era colma, ma le bottiglie nessuno le aveva riempite. E nemmeno svuotate.
smr
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