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Storie di strade londinesi

Creato il 11 giugno 2012 da Se4 @londonse4

charles_booth_deptfordVerso la fine del XIX secolo, il filantropo e sociologo Charles Booth condusse una meticolosa indagine, per evidenziare l’incidenza della povertà nei quartieri ad Est di Londra, dimostrando che almeno il 35% della popolazione in tali aree, viveva in condizioni estremamente disagiate, al di sotto dei 10-20 scellini settimanali, necessari alla sussistenza di un nucleo familiare di quattro persone. I risultati della ricerca di Booth furono pubblicati tra il 1889 e 1891, in due volumi dal titolo Life and Labour of the People. Le diverse zone della città furono  evidenziate con colori diversi, a seconda dello status degli abitanti. Nelle mappe, le strade di colore giallo indicano la presenza di classi agiate o alto borghesi, quelle rosse e rosa sono sinonimo di un’esistenza medio borghese o, comunque, confortevole;  poi, si vira verso tonalità più fredde, dal viola, per le condizioni miste, al blu per i poveri, al nero, per l’indigenza estrema, unita al vizio e al crimine. A distanza di oltre un secolo, un interessante documentario della BBC, utilizza le mappe infografiche di Booths per indagare lo sviluppo o lo stravolgimento di alcune strade (ed aree) londinesi. La prima puntata di The Secret History of Our Streets, si è concentrata sul quartiere subito a ridosso di SE4: Deptford. Quando Charles Booth si avventurò in quell’area per condurre  le sue ricerche, Deptford High Street, era considerata la Oxford Street del sud di Londra. Nella mappa Booths colorò questa strada di rosso (sinonimo di ‘well-to-do’), per evidenziare come la lunga sequenza di negozi da ambo i lati e il fiorente mercato, provvedesse ricchezza e occasioni lavorative. Essendo il quartiere emerso senza particolari danni dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, il mercato continuò a prosperare e gli abitanti di Deptford possedevano in larga parte le case in cui abitavano. Tuttavia, là dove nulla poterono le bombe tedesche, ci pensarono le ruspe del comune, negli anni Sessanta, ad estirpare drammaticamente una larga fetta di tessuto urbano, causando la diaspora di una comunità ampia e coesa. La riurbanizzazione di Londra da parte di architetti modernisti, inserì massicce strutture di edilizia lineare ed anonima, in aree che erano rimaste fondamentalmente invariate dall’epoca Vittoriana (se non da prima), stravolgendone la continuità, con geometrie angolari e ripetitive, tutte di muri a secco e cemento a vista (quella che oggi viene definita ‘architettura brutale’). A Deptford, gli architetti si servirono delle mappe di Booths per demolire intere file di case, che in realtà non mostravano alcun segno di decadenza o insalubrità, in nome di un progresso futurista discutibile e tutto volto a bonificare il sud e l’est della città. In definitiva, Lewisham Council impose svettanti palazzi di cemento per migliorare le condizioni di vita degli abitanti, ma i locali si rifiutarono tutti di occupare le nuove proprietà, con l’aggiunta di ulteriori problemi. Anche al confine tra SE8 e SE4, Friendly Street conobbe un simile destino, con un filare di abitazioni completamente raso al suolo per far spazio ad un complesso di case popolari. E gli interventi discutibili proseguono ancora oggi (basti pensare allo storico pub The Crown And Sceptre, sempre al 92 di Friendly Street, completamente alterato dalla trasformazione in unità abitative, con l’inutile demolizione degli storici mattoni in ceramica, che ne ricoprivano la facciata). Il documentario della BBC, è, nel complesso, ben girato e utilizza testimonianze colorite e preziose, tra cui quelle di un residente, la cui famiglia ha esercitato il commercio nel quartiere da oltre duecento anni, e uno degli architetti responsabili dello scempio, per nulla rammaricato. Tuttavia, non sembra lasciare un’immagine positiva della Deptford odierna, una realtà complessa e vibrante. Piuttosto, si rimane con una sensazione amaro e deprimente. Se è vero che la High Street non è più paragonabile ad Oxford Street e gli esercizi originali di oltre cento anni fa sono scomparsi, il documentario omette, però, la presenza di elementi positivi, come l’Albany Arts Centre, con il suo fitto programma di musica, teatro e performance, o la nuova sede di Utrophia, sempre attiva, tra mostre d’arte ed happenings, o, ancora, la vasta comunità di artisti e bloggers, i Creekside studios,i negozi indipendenti, i caffè e i ristoranti, il Royal Albert pub (segnalato da Time Out) con i suoi arredi vittoriani originali, il colorito mercato e la bellissima chiesa barocca di St Paul’s, restaurata di recente.



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