Una donna egizia dall’espressione sorniona e curiosa, gli occhi bistrati di nero socchiusi a fessura, ci guarda dalla copertina dell’ultimo numero di Internazionale, la rivista italiana dedicata alla politica e cultura internazionale.
È dedicato all’Egitto contemporaneo questo numero speciale invernale, e contiene: cinque racconti, un articolo giornalistico, una poesia, una striscia a fumetti e una galleria fotografica; gli autori sono artisti e scrittori egiziani contemporanei che raccontano “un anno di storia dell’Egitto” di oggi, il 2011 della rivoluzione, come spiega Mona Anis nella sua introduzione.
E lei, la lettrice in copertina, figlia di un Egitto antico e lontano nel tempo, sembra voler sfidare noi lettori italiani a leggere cosa scrivono e come riflettono gli intellettuali dell’Egitto di oggi.
Le “storie” (i testi e la poesia) che leggerete sono state scelte da Mona Anis, giornalista e scrittrice egiziana, e sono state tradotte dall’arabo da Elena Chiti, Ramona Ciucani, Cristina Dozio, Giacomo Longhi e Barbara Teresi. L’intero progetto è stato curato e realizzato da Elisabetta Bartuli.
Si comincia con un brano tratto dall’autobiografia di Radwa Ashur, scrittrice ed intellettuale egiziana molto amata nel mondo arabo, che si è da poco spenta dopo una lunga malattia. Ashur racconta della sua degenza in ospedale, mentre nel suo Egitto accadeva la rivoluzione. Appena uscita dall’ospedale, la storia personale dell’autrice si è ricomposta con quella egiziana e Ashur ci racconta cosa hanno visto i suoi occhi, cosa hanno ascoltato le sue orecchie di piazza Tahrir. E non sono le stesse immagini e gli stessi suoni che riportava la televisione:
Non ti bruci la mano che tendi verso lo schermo, anche davanti a un fuoco che divampa. Il proiettile non ti colpisce e la macchina lanciata nella tua direzione non ti investe perchè, mentre segui la scena nel momento stesso in cui avviene, resti al di fuori, seduto davanti allo schermo, al sicuro in casa tua.
(“Ritorno al Cairo”, trad. di E. Chiti)
In “Il demone di Shady”, racconto della giovane autrice Iman ‘Abd al-Rahim (scritto nel 2011, trad. di G. Longhi), la rivolta egiziana viene narrata attraverso la vicenda di Shady, un giovane paranoico convinto che il presidente egiziano sia vittima di una stregoneria, e di sua sorella Fadwa, che lavora per la Bbc e che smania dalla voglia e dal bisogno di partecipare alle manifestazioni di piazza, contro il volere del fratello.
La tensione familiare si scioglie alla notizia delle dimissioni del “presidente”, ma l’occhio di Shady vede forse lontano quando, indicando alla tv Omar Suleiman, uomo del regime, dice alla sorella: “Credimi, anche Suleiman pratica la stregoneria”.
Il giornalista Mohamed Abo el-Gheet, nell’articolo “Le rose e il pane” (trad. di C. Dozio), si chiede provocatoriamente – e forse lo chiede soprattutto a noi occidentali – perchè quando si parla dei giovani della rivoluzione ci si concentri solo sui giovani della media borghesia, e si tralascino quelli più poveri, abitanti dei quartieri più disagiati.
Perchè questi giovani non fanno notizia?
Perchè erano poveri in canna e pure un po’ cafoni. Perciò non sta bene metterli tra “le rose sbocciate nei giardini d’Egitto”.
Vignetta di Andeel, disegnatore egiziano autore della striscia a fumetti presente su questo numero di Internazionale.
In questa vignetta del luglio 2012: ” I Fratelli musulmani, il Consiglio supremo delle forze armate e gli intellettuali” (fonte: Facebook).
Uno di questi giovani istruiti e figli di papà, solo all’apparenza, è il protagonista del racconto “La partita”, dello scrittore Mohamed Mansi Qandil (trad. di C. Dozio). Il giovane Karim è la luce degli occhi del padre, un uomo un po’ snob ed egoista che, mentre accompagna il figlio alla scuola di tennis, guarda con fare infastidito e insofferente i giovani che vanno a manifestare. Gli importa solo del figlio, che ritiene migliore di lui e che lo rende quindi un uomo migliore ai suoi stessi occhi. Ma Karim non è come il padre, vuole altro, a dispetto del genitore. Il padre di Karim si ritroverà protagonista di una personalissima tragedia (o forse semplicemente si sveglierà dalla bolla in cui viveva), per cui sarà costretto a mutare le sue iniziali posizioni.
Ancora i giovani sono al centro della lunghissima poesia “Ho visto il giorno”, del poeta Mustafa Ibrahim, in cui la morte dei giovani rivoluzionari del 2011 viene narrata attraverso lo “specchio” narrativo del martirio dell’imam al-Husayn, nipote del Profeta Muhammad, figlio di sua figlia Fatima e del genero ‘Ali, che morì a Kerbala in Iraq nel 680 d.C. La sua morte, assurta a simbolo delle lotte contro le ingiustizie del mondo, viene ricordata dai musulmani sciiti durante il giorno della ‘Ashura.
Ho visto il giorno, ne sono stato spettatore
e ho capito che Hussein anche stavolta muore.
Ho visto il giorno in cui i rivoluzionari hanno visto
Hussein cadavere e intorno i militari.
Lo prendono a bastonate
tutti vanno a colpirlo
e la gente è ferma
a piangere invece di impedirlo
e la bandiera è crivellata
di pugnalate e spari
e la strada è insanguinata da cima a fondo.
Ho visto il giorno
il sangue che fluiva,
ma Hussein è tutti noi
e ucciso resta in vita.
(trad. di E. Chiti)
“Blindati in riviera” di Youssef Rakha (trad. di R. Ciucani) è forse il racconto più criptico e difficile da leggere e interpretare (se poi mai uno scritto si debba interpretare), ed è tipico dello stile tortuoso – seppure molto affascinante – di Rakha, che è scrittore, poeta, blogger e fotografo.
Rakha si muove a metà tra il racconto, la riflessione filosofica e l’autobiografia in questo suo scritto ambientato un po’ nella polvere e nella concitazione del Cairo e nella calma e nella brillantezza asettica della riviera francese. L’autore è un po’ spettatore e un po’ narratore, e mentre chiede a se stesso quale sia il ruolo dello scrittore di fronte alla vita, il suo io si perde e si ritrova tra gli specchi, le illusioni e le trasformazioni della realtà, che è mutevole e infingarda.
Scrivo e penso che è casuale, come lo sono i miracoli; che periodicamente la nostra realtà si disintegra dal suo interno scardinando il nostro sapere, e che una stessa struttura si ripete o crolla proprio come succede nel film Matrix. Rimuovendo ciò che sembra un’altra realtà, o un equivalente più vicino al nostro desiderio, ma che molto probabilmente è il nulla.
È per questo che, perfino nei nostri momenti più felici, l’infelicità è così vicina?
Con l’ultima “storia” ci abbandoniamo completamente al piacere della finzione narrativa più pura: “Karantina 2064” (trad. di B. teresi), è un brano estratto dal romanzo Donne di Karantina del giovane scrittore Nael el-Toukhi. Il romanzo, pubblicato nel 2013 al Cairo, è stato già tradotto e pubblicato in inglese.
Disegno di Pierluigi Longo, a corredo del brano di el-Toukhi.
Donne di Karantina (che appartiene al genere della fantapolitica) è ambientato in una futuristica e imprevedibile Alessandria d’Egitto, che è diventata il regno del crimine e di ogni sorta di psicotici, trafficanti, magnaccia e criminali, e segue le vicende di alcune famiglie di questi malavitosi. Le donne, come vi accorgerete leggendo l’estratto tradotto, vi svolgono un ruolo fondamentale.
Queste storie – che ho letto con curiosità sebbene non mi siano piaciute tutte – non hanno la pretesa di raccontare l’Egitto contemporaneo, ovviamente, e sarebbe da presuntuosi pretenderlo. È come se in una rivista straniera venissero pubblicati pochi frammenti di un tessuto culturale complesso come quello italiano.
A mio parere questo numero di Internazionale ha alcuni meriti importanti: le traduzioni sono state eseguite tutte dall’arabo (e non è così ovvio come potreste pensare) e le storie tradotte sono tutte inedite in italiano.
E poi non è che capiti proprio tutti i giorni di leggere sui nostri media cartacei della narrativa inedita pubblicata in arabo (ogni tanto sì, vengono tradotti gli articoli di alcuni sparuti autori arabi, per lo più francofoni e anglofoni ma, suvvia, sono sempre un po’ gli stessi).
Invece in questo caso gli autori sono quasi tutti semi sconosciuti al grande pubblico; e probabilmente solo un nugolo di lettori specialisti conosce Radwa Ashur, di cui in italiano è stato pubblicato il libro Atyàf. Fantasmi dell’Egitto e della Palestina (trad. P. Zanelli, Ilisso 2008), e Youssef Rakha, di cui sono stati pubblicati alcuni brani su Nazione Indiana e all’interno della raccolta Figli del Nilo. Undici scrittori egiziani si raccontano (a cura di F. Prevedello, Mesogea 2006).
Dunque leggere le storie che ci propone Internazionale in questo scampolo di fine anno è un buon modo per approcciarsi alla narrativa egiziana contemporanea, e per avere un punto di vista differente, anzi, tanti e variegati punti di vista, sugli eventi del 2011.
Chi vuole raccogliere quindi la sfida della lettrice egizia?